Piano 4.0, crisi aziendali, rete unica tlc: si apre la «partita» di Giorgetti con le imprese
Subito dossier delicati: il piano 4.0, le crisi aziendali, Alitalia, Ilva, la rete unica tlc. Sul tavolo ci sarà la pesante eredità delle crisi aziendali, che spesso si trascinano da anni e che in alcuni casi sono finiti in un imbuto dopo l’illusione di una soluzione a portata di mano
di Barbara Fiammeri e Carmine Fotina
2' di lettura
Giancarlo Giorgetti approda allo Sviluppo economico. La sua presenza al Governo era data per scontata. Certo il rapporto diretto con Mario Draghi è stato propedeutico ma senza il sostegno di Matteo Salvini difficilmente avrebbe accettato di far parte della squadra dell’ex presidente della Bce.
Giorgetti è infatti una figura vecchio stampo, di quelle per cui viene prima il partito, nel suo caso la Lega. Ha affiancato Umberto Bossi, poi Roberto Maroni negli anni difficilissimi delle inchieste sul Carroccio, e ora Salvini.
Il «custode» della Lega
Tre segretari molto diversi tra loro. In particolare Salvini che ha trasformato la Lega da partito del Nord filosecessionista a partito nazionale. Giorgetti non si è mai tirato indietro, non ha mai organizzato correnti ma ha comunque sempre manifestato i propri dubbi come ai tempi del Governo con M5S verso il quale era fin dall’inizio molto diffidente.
Salvini ha voluto proprio per questo imporlo allora come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Perché fosse lui a vigilare su nomine e movimenti. Ma soprattutto Giorgetti è stato «il custode» del posizionamento internazionale della Lega sul fronte atlantista. È stato lui a tentare in più occasioni e poi a ricucire i rapporti con l’amministrazione americana che osservava con attenzione critica l’eccessiva confidenza del Carroccio e dello stesso suo leader con la Russia di Vladimir Putin. Così come è evidente - ed è storia recentissima - che a favorire l’ingresso della Lega nella nuova maggioranza trasversale a favore di Draghi e la svolta europeista sia stato l’ex studente bocconiano. Ma adesso arriva la parte più difficile. Giorgetti nel Governo è in prima fila mentre Salvini resta fuori a vigilare. Quando arriveranno tempi difficili non sarà facile mantenere l’equilibrio.
Un ministero a misura di Pmi
Eredita un ministero ridimensionato per la perdita della competenza sull’energia trasferita al ministero per l’Ambiente e la Transizione ecologica. Un Mise che già aveva perso, con il governo Conte bis, il commercio estero passato alla Farnesina.
Viene fuori il profilo di un dicastero sempre più ritagliato sulle piccole e medie imprese, che sono del resto il principale riferimento leghista nell’ossatura del Nord produttivo. Giorgetti da questo punto di vista potrà proseguire il lavoro sugli incentivi fiscali del piano Transizione 4.0, mentre forse potrebbe trovare qualche difficoltà in più, visto il passaggio delle competenze, a mettere in pratica il taglio dei costi energetici per le piccole aziende, storica priorità del Carroccio.
Sul tavolo ci sarà la pesante eredità delle crisi aziendali, che spesso si trascinano da anni e che in alcuni casi sono finiti in un imbuto dopo l’illusione di una soluzione a portata di mano (vedi Whirlpool ed ex Embraco).
A un livello di complessità ancora superiore, se possibile, Giorgetti sarà chiamato a decidere, comunque in tandem con il Tesoro, se e in che modo dare continuità alla strategia del ministro Patuanelli su Ilva, culminata di fatto con una nazionalizzazione che si completerà nel 2022.
Scotta anche il dossier Alitalia, con la necessità di andare a un bando di gara europeo finora lasciato in sospeso per le visioni discordanti di ministero e commissario straordinario. E c’è attesa per la posizione del nuovo ministro sul progetto della rete unica tlc Tim-Open Fiber fortemente sponsorizzato da M5S e Pd.
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