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Piano da realizzare tutto e al meglio

di Gianfranco Viesti

3' di lettura

Come sta procedendo il Pnrr nel Mezzogiorno? La risposta non può che essere articolata; sfuggendo dagli estremi di ottimismo o pessimismo preconcetti purtroppo assai diffusi.

È bene ricordare le principali tappe. In primo luogo il Piano. Che procede per “canne d’organo” settoriali senza incrociare le realtà o i fabbisogni di investimento dei territori; che indirizza al Sud lo stesso mix di interventi destinati al resto del Paese. Che riserva il 40% al Mezzogiorno; ma che poi, tardivamente, a Piano inviato a Bruxelles, chiarisce che quel 40% del tutto va inteso come 40% di ogni misura. In secondo luogo, il processo di individuazione e localizzazione dei progetti a partire dalle misure. Decisioni della massima importanza, prese fra l’estate 2021 e l’estate 2022. Con alcune luci e non poche ombre: lasciate alle potestà dei singoli ministri, in base ad una congerie di criteri e modalità di riparto. Con un’enfasi, decisamente criticabile, su meccanismi di bandi competitivi fra le amministrazioni pubbliche. E quindi con esiti assai differenti, come provo ad analizzare nel volume «Riuscirà il Prnn a rilanciare l’Italia?» (Donzelli), da pochi giorni in libreria. In terzo ed ultimo luogo, la fase di progettazione esecutiva, appalto e realizzazione delle opere, avviata da poco. Ad esito di queste tappe è possibile formulare alcune prime valutazioni. Nell’insieme il Piano è di fondamentale importanza: pone fine a un lunghissimo periodo di contrazione degli investimenti pubblici al Sud; soprattutto per le aree in ritardo è impossibile attivare processi di sviluppo economico e di miglioramento delle condizioni sociali senza una elevata quantità e qualità di capitale pubblico. Va realizzato. Tutto, e al meglio possibile. Certamente non colmerà i divari interni: forse potrebbe lievemente ridurli. Si raggiungerà il 40%? È possibile, non garantito. E sarà bene tenere i fari accesi sui processi allocativi e realizzativi. Avrà un buon impatto sull’occupazione, quantomeno fino al 2026. Ma con la criticità di un incremento modesto dell’occupazione femminile. La riduzione dei divari di genere, in tutto il Paese, appare uno degli obiettivi più a rischio, e sul quale sarebbe necessario un impegno maggiore. Quanto agli effetti di più lungo periodo sull’economia, sono lecite preoccupazioni. Nascono proprio dall’analisi di dettaglio dell’attuazione; in particolare dalla circostanza che le misure di potenziamento dell’apparato produttivo sono per metà incardinate sui crediti di imposta di Transizione 4.0 che per loro natura affluiscono dove l’economia è già più forte. Il rischio è che a una ottima spinta di domanda al Sud corrisponda un potenziamento insufficiente dell’offerta, perpetuando la dipendenza dalle importazioni. Si può ancora intervenire: concentrando molto di più gli interventi per i contratti di sviluppo e di filiera. Il quadro delle diverse misure è vario. Da analisi di dettaglio emergono criticità inspiegabili in bandi per la transizione verde. Certamente l’ambito più deludente è quello dell’istruzione, a causa di una gestione discutibile da parte del ministero. La Svimez ha documentato come non ci sia relazione fra necessità di intervento e fondi stanziati.

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Si realizzerà quanto previsto? Il dilagante pessimismo non appare corroborato da evidenze solide. Gli investimenti di RFI sembrano marciare. I molti interventi che fanno capo alle amministrazioni locali sono in moto, anche se a velocità diversa all’interno del Sud. Conseguenza della sottovalutazione da parte del governo Draghi delle esigenze di potenziamento delle amministrazioni, depauperate di competenze tecniche da un decennio di austerità; asimmetrica, perché ha colpito molto di più il Mezzogiorno. Potrebbe determinarsi un impatto a macchia di leopardo: lo si vede dai dati negativi per la Sicilia sugli asili nido. Il risultato finale non è scritto: più informazione, valutazione, discussione possono aiutare, nei prossimi tre anni, a renderlo più positivo.

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