I 7 highlander di Piazza Affari sempre presenti nel listino principale dal ’98
di Andrea Franceschi
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Ha compiuto 10 anni di vita l’indice FTSE MIB di Piazza Affari delle società più capitalizzate. Era stato introdotto l’1 giugno 2009 nell’ambito di una razionalizzazione decisa dalla Borsa di Milano per rendere l’indice principale in linea con gli standard internazionali di classificazione settoriale e più facilmente replicabile dai cosiddetti fondi passivi (ETF) che negli anni successivi avrebbero sperimentato un vero e proprio boom.
Dell’indice fanno parte le 40 società più capitalizzate e più liquide quotate alla Borsa di Milano ed è rappresentativo dell’80% della capitalizzazione e del 90% degli scambi che avvengono sulla piazza di Milano. Le 40 azioni sono scelte tra tutte quelle ordinarie quotate su MTA e MIV (estere incluse). La classifica è elaborata da un algoritmo che associa la dimensione (capitalizzazione del flottante) alla liquidità (scambi dell'ultimo semestre) e la sua evoluzione nel corso del tempo è un utile specchio di come sia evoluta negli ultimi 10 anni l’economia del nostro Paese.
A livello settoriale ad esempio un dato che balza all’occhio è il ridimensionamento del peso della componente bancaria. Gli istituti di credito sono storicamente la componente più rappresentata nel listino ma la crisi che ha attraversato il settore ha comportato un drastico calo del valore di mercato: nel 2009 i principali istituti quotati messi insieme capitalizzavano oltre 93 miliardi di euro, oggi appena 65. E così anche il loro peso percentuale all’interno del paniere, che nel 2009 era pari al 26,4% della capitalizzazione (ma è arrivato a valere oltre il 30% prima del crack Lehman) si è ridotto ad appena il 16,6% scalzato dalle utilities (Enel in testa) che oggi valgono il 18,2% della capitalizzazione dell’indice.
Il vuoto lasciato dalle banche ma anche dalle telecomunicazioni (che agli inizi degli anni 2000 valevano quasi il 30% del listino e oggi pesano per appena l’1,5%) è stato colmano soprattutto dall’industria (era al 5,2% oggi vale l’8,6%) e dall’auto (passata dal 3,8 al 10,9% del Ftse Mib). «Questa crescita del comparto auto - spiega Luca Filippa managing director per il sud Europa di FTSE Russell - è dovuta soprattutto alla crescita del gruppo Fca e alla scelta di scorporare Cnh Industrial e Ferrari che si è rivelata una strategia premiante».
In 10 anni la composizione del listino è cambiata e ci sono 15 titoli che non fanno più parte del listino tra cui si segnala Banca Mps (che 10 anni fa valeva oltre 8 miliardi di euro e oggi, nonostante i vari aumenti di capitale, poco più di uno) e l’intero comparto media (allora rappresentato da Mediaset e Mondadori) che oggi non è più rappresentato nel listino.
C’è poi una pattuglia di sette highlander del paniere principale che ha fatto ininterrottamente parte dell’elite di Piazza Affari dal 1998 ad oggi. Ne fanno parte Eni, Intesa Sanpaolo, Fiat Chrysler Automobiles, Generali, Telecom Italia, Mediobanca e Unicredit. Tutti titoli che, ad eccezione di Telecom, stanno nei primi posti nella classifica delle società più capitalizzate della Borsa di Milano. Se si esclude Fca, il cui valore nell’ultimo decennio è quasi raddoppiato passando da 9,6 a 17,8 miliardi di euro, nel migliore dei casi la capitalizzazione è rimasta invariata rispetto al 2009: Eni ad esempio è passata da 64 a 49,7 miliardi di euro; Intesa è scesa da 33 a 31,9; Unicredit da 31,9 a 22,5; Generali da 22,4 a 24,6; Mediobanca da 6,9 a 7,1; Telecom da 17,8 a 9.
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