Piersanti Mattarella, ecco chi era il fratello del capo dello Stato ucciso dalla mafia
di Raffaella Calandra
3' di lettura
Fu lui a tirarlo fuori da quella macchina. Lui a sorreggergli la testa. Lui poi ad annunciare che non c’era più nulla da fare. La vita del futuro capo dello Stato sterzò proprio quel 6 gennaio 1980, quando toccò a lui, a Sergio Mattarella, abbracciare il corpo morente del fratello Piersanti, come immortalato dall’obiettivo di Letizia Battaglia. Il presidente del rinnovamento siciliano veniva assassinato con otto colpi nella sua Fiat 132, nel silenzio dei giorni di festa. Ed ora è anche questa la minaccia che arriva all'attuale capo dello Stato, nel pieno della crisi politica italiana. La minaccia di «fare la stessa fine del fratello», come gira sui social.
Piersanti Mattarella fu il protagonista di un tentativo concreto di cambiamento della Sicilia, dove «nella società a diversi livelli, nella classe dirigente e non solo politica, ma pure economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia», come disse nell'ultima intervista. Parole che arrivavano dopo gesti precisi di chi aveva provato a bloccare l’ascesa della nuova cupola mafiosa, quella dei corleonesi di Totò Riina, Bernardo Provenzano, quella di Michele Greco, Giuseppe Calò e Nené Geraci, condannati nel 1995 in via definitiva per quel delitto, su cui ancora però ora si indaga. La Procura di Palermo ha riaperto infatti l'inchiesta, sulla base di nuovi elementi mai analizzati che vanno nella direzione dei Nuclei armati rivoluzionari. Col sospetto che ci furono interessi diversi e convergenti dietro quel cadavere eccellente.
Alla guida del palazzo dei Normanni, Piersanti Mattarella, allievo di Aldo Moro nella Democrazia Cristiana, aveva avviato la sua rivoluzione all’insegna della trasparenza e della lotta alla speculazione edilizia. Poche settimane dopo la sua elezione fa approvare riforme in questa direzione e soprattutto riduce gli spazi edificabili, preda degli interessi di palazzinari, mafiosi, ma anche di politici in cerca di consenso. La legge urbanistica numero 71 del 1978 aumentò il livello dell'opposizione nei suoi confronti, perché bloccò molti interessi. Nel febbraio dell'anno successivo, anche plasticamente fu chiaro a tutti che quello in atto doveva essere un cambiamento radicale. Quando infatti a Villa Igea Pio La Torre, che stava per diventare segretario regionale del Partito Comunista, attaccò l'assessorato all'agricoltura come centro di malaffare, dal presidente della Regione non arrivò la difesa d'ufficio del suo assessore, come tutti si sarebbero aspettati, ma la dichiarazione esplicita della necessità di maggiore correttezza nella gestione dei contributi agricoli. Sarebbero stati ammazzati entrambi.
La linea della lotta alle irregolarità e della trasparenza fu quella seguita anche all'interno del Consiglio regionale e all'interno del suo partito, la DC. Nel 1979 chiese all'allora segretario nazionale Benigno Zaccagnini di indagare nel comitato della provincia di Palermo, nei gangli dei rapporti tra l'ex sindaco mafioso della città Vito Ciancimino e Salvo Lima. «Bisogna intervenire, per eliminare quanto a livello pubblico, anche attraverso intermediazioni e parassitismi – rifletteva – ha fatto e fa proliferare la mafia».
Segnali troppo forti, per un'isola restia al cambiamento. Che si preparava invece a spianare la strada ai corleonesi, anche abbattendo le ville liberty del suo capoluogo.
Piersanti Mattarella fu il volto di quel progetto di cambiamento. E la sua eredità fu in un certo senso raccolta dal fratello Sergio, a partire proprio dal quel giorno dell'Epifania 38 anni fa. Quando sorreggendo il corpo del fratello agonizzante, ne raccolse come l’impegno. E passò dagli studi universitari, anche lui all’impegno politico. Fino al Colle più alto.
loading...