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Pil Italia, Fmi taglia le previsioni nel 2023: più deficit e si ferma la discesa del debito

La recessione, sempre più evocata nelle ultime settimane, diventa esplicita nelle tabelle del World Economic Outlook diffuso l’11 ottobre dal Fmi

di Gianni Trovati

Fmi abbassa le previsioni per il 2023: "Il peggio deve venire"

3' di lettura

Anche se a ritmi schiacciati ai livelli più bassi dal 2001, nelle previsioni del Fondo monetario internazionale l’economia mondiale nel 2023 continuerà a crescere (+2,7%). Ma con tre significative eccezioni: la Russia colpita da guerra e sanzioni, la Germania che sconta ora i lunghi anni in cui si è stretta nel nodo della sua dipendenza energetica record da Mosca, e l’Italia. Che paga pegno a energia e inflazione ma anche alla frenata profonda del suo primo partner commerciale, la Germania appunto.

La recessione sempre più evocata nelle ultime settimane, da alcuni per negarla e da altri per ipotizzarla («non può essere esclusa» in Europa, ha ribadito ieri il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni), diventa esplicita nelle tabelle del World Economic Outlook diffuso l’11 ottobre dal Fondo. Per l’Italia si prevede un anno di contrazione al -0,2%, cioè otto decimi in meno di quanto ipotizzato dal governo e 9 decimi sotto le stime dello stesso Fmi a luglio, mentre è dell’1,9% la distanza rispetto alle speranze dello scorso aprile. La prima conseguenza è una disoccupazione in salita al 9,4%, più in alto dell’8% prospettato dal governo.

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STIME A CONFRONTO SUI CONTI PUBBLICI DELL'ITALIA
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Le differenze nel debito pubblico tra Italia e Germania

Lo scenario, si diceva, è simile a quello tedesco, a cui l’Fmi attribuisce un Pil a -0,3%, ma con una differenza importante: il debito. Quello di Berlino, grazie a un deficit inferiore al nostro, è visto in riduzione dal 71,1% del Pil di quest’anno al 68,3% del prossimo, mentre il nostro arresterebbe il suo percorso in discesa fermandosi al 147,1%: in pratica lo stesso livello (un decimo meno) rispetto a ora. Non sarebbe un problema da poco.

Perché la dinamica del debito italiano è inevitabilmente tornata al centro delle attenzioni dei mercati, chiamati a sostituirsi alla Bce nel ruolo di acquirenti delle emissioni nette mentre i tassi salgono.

Lo hanno chiarito gli avvertimenti a ripetizione delle scorse settimane, da Moody’s che promette un downgrade in caso di stop alla discesa del debito a Fitch che come i colleghi mette l’accento anche sui rischi nell’attuazione del Pnrr. E lo conferma la cura con cui il governo uscente ha costruito uno scenario diverso, circondandolo però di avvertimenti continui sui molteplici «rischi al ribasso».

Le discrepanze sul deficit

Anche se meno appariscente, una differenza cruciale fra le previsioni elaborate a Washington e quelle costruite a Roma nella Nadef e nel Dpb riguarda il deficit. Nei documenti ufficiali di finanza pubblica il disavanzo del prossimo anno scende al 3,4% soprattutto grazie alla corsa ulteriore dell’Iva e delle altre imposte indirette nutrite dall’inflazione. Nelle tabelle del Fondo si attesta invece al 3,9% dopo un 5,4% di quest’anno (il governo indica un 5,1% ma senza le spese per il nuovo decreto Aiuti atteso a novembre).

Cinque decimi di Pil, poco meno di 10 miliardi, non sono pochi. Ma soprattutto entrambi i calcoli non possono tenere conto di una manovra tutta da costruire, che dovrà dedicare parecchi sforzi ai nuovi interventi per il caro energia e alla spesa per le pensioni, oltre a dover ripensare la dinamica oggi prevista in discesa nelle uscite per la sanità, gli acquisti della Pa e il pubblico impiego.

Si spiega anche con questa spesa fermata dalla «legislazione vigente» l’indicazione di un deficit 2023 che in Nadef e Dpb è più basso rispetto alle previsioni del Def di aprile. Tutto però è appeso a una prospettiva di crescita che il governo ipotizza del +0,6% nello scenario di base, affiancato però dai rischi attribuiti allo stop totale al gas russo (5 decimi di crescita in meno), a un rallentamento ulteriore del commercio globale (2 decimi in meno), a un rafforzamento dell’euro oggi ai minimi sul dollaro (3 decimi) e ad un allargamento dello spread (un decimo).

Gli effetti delle misure contro il caro energia

Oltre a spingere sul deficit a meno di coperture oggi improbabili, le nuove misure da approvare contro il caro energia avranno nei conti un effetto espansivo. Ma il quadro dovrà fare i conti anche con la prospettiva di una recessione tecnica ammessa dagli stessi documenti Mef. Dove si legge che «le valutazioni interne più aggiornate indicano una variazione leggermente negativa del Pil nel terzo trimestre» per il venir meno della spinta di manifattura e costruzioni; e che «per il quarto trimestre, l’intervallo delle stime più aggiornate si situa intorno a una lieve contrazione del Pil», sempre per effetto dell’industria.

In questo modo il +3,3% di crescita 2022 calcolato dal governo, e maturato nella prima metà dell’anno (+3,6% l’acquisito secondo l’Istat) non lascerà in pratica alcuna eredità positiva (+0,1%) sul 2023. Che dovrà quindi cavarsela da solo fra venti contrari, a differenza di un 2022 che dal rimbalzo post Covid dell’anno scorso aveva ricevuto una spinta iniziale del 2,4%, cioè i tre quarti del tasso annuale che dovrebbe essere registrato a consuntivo.

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