danza

Pina Bausch, a Collegno una «Maratona» sulla sua eredità artistica

di Roberto Giambrone

3' di lettura

Alla vigilia del decennale della morte di Pina Bausch, che ricorre il prossimo 30 giugno, crediamo di sapere tutto sulla più amata ed emulata coreografa tedesca del Novecento. Eppure, come ha dimostrato la Maratona Bausch alla Lavanderia a Vapore di Collegno su iniziativa della Fondazione Piemonte dal Vivo, qualcosa possiamo ancora scoprire, se siamo disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni.

Curata da Susanne Franco con la collaborazione di Gaia Clotilde Chernetich, la Maratona ha posto l'attenzione sull'eredità artistica della coreografa, sulla difficile arte della memoria, che concerne le riprese degli spettacoli in repertorio ma anche la ri-contestualizzazione delle sue opere nello scenario contemporaneo, in definitiva sulle possibilità che queste ci parlino oggi al di là di stereotipi, luoghi comuni e mitologie, che in buona parte hanno cominciato a cristallizzarsi quando Pina Bausch era ancora in vita.

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Maratona Bausch a Collegno

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Per articolare un discorso su più piani, le curatrici hanno interrogato studiosi come Alessandro Pontremoli, che è intervenuto nell'ambito del seminario Ereditare Pina Bausch tenuto presso l'Università di Torino; hanno invitato danzatori storici del Tanztheater Wuppertal come Antonio Carallo, Cristiana Morganti e Julie Anne Stanzak, che ha condotto un workshop propedeutico alla realizzazione, con gli allievi delle scuole di danza, di una Nelken-Line, la “passerella” creata da Pina Bausch e diventata un'icona del suo stile; hanno chiesto ai fotografi Piero Tauro e Ninni Romeo di allestire due mostre, rispettivamente sugli spettacoli e sul percorso creativo dell'artista; hanno celebrato i quarant'anni di Café Müller con un'installazione basata sulle testimonianze di numerosi critici e studiosi; hanno proiettato in anteprima il cortometraggio Quello che ci muove della videomaker e antropologa Rossella Schillaci, che raccoglie testimonianze orali di spettatori sparsi in tutta Italia.
Infine, grazie agli spettacoli proposti, abbiamo capito che si può anche scherzare sulla presunta seriosità di Pina, rendendole omaggio in chiave ironica e allusiva. Cristiana Morganti ha reinterpretato per l'occasione Jessica and Me, una performance autobiografica di quattro anni fa, nella quale sfata alcuni luoghi comuni sul lavoro e sul “metodo” bauschiani, a cominciare dall'eccesso di psicologismo, quasi misticheggiante, che il tempo gli ha appiccicato addosso. Morganti scherza sul rapporto non sempre facile con la danza e con la poetica di Pina, ma alla fine le tributa un affettuoso omaggio, attraverso la rivisitazione di uno stile inconfondibile e carismatico.

Daria Deflorian e Antonio Tagliarini hanno rispolverato Rewind, il loro longevo omaggio a Café Müller, un curioso esercizio di ekphrasis nel quale, ascoltando il sonoro dello spettacolo, che solo la coppia osserva al computer, descrivono ciò che succede in scena basandosi principalmente sulla memoria emotiva della prima volta, mischiando ricordi personali ad aneddoti relativi alla danza. Ogni tanto sul palco si agitano sedie e si materializzano oggetti e immagini che rievocano tragitti – più mentali che reali – dello spettacolo. Alla fine si scopre che Deflorian e Tagliarini Café Müller non l'hanno mai visto dal vivo, ma non importa, perché il senso di questa Maratona torinese voleva proprio essere questo: riappropriarsi di Pina Bausch in assenza dell'originale. Ciò è possibile incrociando memorie diverse, azzardando nuove interpretazioni critiche, riscoprendo ad esempio la sottovalutata influenza americana nella sua formazione; e andrebbe poi evitata l'emulazione, cercando piuttosto di restituirne lo spirito, come hanno fatto ne L'arte di resistere Francesca Foscarini e Cosimo Lopalco, che con gli anziani di Dance Well, un bel progetto di Bassano del Grappa per malati di Parkinson e non, hanno colto l'essenza di una danza di comunità, basata sulle esperienze personali e collettive e sulla capacità di chiamare in causa emozioni e storie condivise.

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