Interventi

Più investimenti e meno regole per ricostruire l’italia post Covid

Affrontare l’emergenza in modo efficace deve farci immaginare soluzioni fino a ieri osteggiate da interessi corporativi o politici

di Stefano Parisi

(AFP)

4' di lettura

L’Italia è stata colpita dalla pandemia nel suo momento di massima fragilità, istituzionale e politica. Un sistema economico debole che sconta anni di crisi e di bassa crescita, un enorme debito pubblico e una pubblica amministrazione improduttiva che assorbono gran parte del reddito prodotto dagli italiani, una burocrazia inefficiente, freno allo sviluppo del Paese, un sistema di governo che si articola in una diffusa, debole e irresponsabile parcellizzazione del potere.

Mentre la reazione degli italiani ai decreti governativi è stata esemplare, è del tutto evidente ormai come la risposta delle istituzioni sia stata confusa, ondivaga, incerta nella comunicazione, nelle decisioni, nelle soluzioni. Stiamo pagando il prezzo di uno Stato debole, di 21 differenti sistemi sanitari, di un sistema di Protezione civile a cui è stata tolta capacità di intervento, privo di un piano per le emergenze sanitarie, un sistema burocratico non in grado di agire nei tempi imposti dai drammi familiari e dalle urgenze delle imprese.

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Per reagire a tutto questo e, soprattutto, per definire una strategia di azione per cogliere appieno le opportunità della ripresa, insieme ad alcuni professionisti, imprenditori e accademici, abbiamo raccolto in un Piano operativo le migliori idee che in questi anni e in queste settimane sono state avanzate, le migliori esperienze internazionali per riprendere in sicurezza le attività economiche e sociali, riaprire da subito le scuole, proteggere le attività produttive e ricostruire un Paese nuovo, finalmente moderno.

Le previsioni del drammatico crollo del Pil per il 2020 e l’enorme crescita del debito pubblico resa necessaria dall’urgenza di sostenere il sistema economico e sociale, devono essere accompagnate da misure rapide ed efficaci per la crescita se non vogliamo mettere a rischio la sostenibilità del nostro debito pubblico.

Le riforme, tante volte invocate dai settori produttivi del Paese, oggi diventano un imperativo. Se la crisi economica dovesse sfociare in una crisi finanziaria del nostro debito, le conseguenze umanitarie potrebbero essere più pesanti della stessa pandemia.

Il Presidente designato di Confindustria, Carlo Bonomi, sta chiedendo con forza al Governo un piano d’azione investimenti per il rilancio dell’economia.

Affrontare l’emergenza in modo efficace deve farci immaginare soluzioni fino a ieri osteggiate da interessi corporativi o politici, che oggi non hanno più nessuna ragione d’essere. Oggi è a rischio la sopravvivenza del nostro sistema economico e sociale e quella di tante persone che stanno perdendo il lavoro e che rischiano di non ritrovarlo mai più.

E quindi dobbiamo cambiare metodo da subito. Già dal modo con cui affrontiamo il problema del rischio del fallimento delle imprese. Serve liquidità, ma non tutte le imprese possono caricarsi di debito. E allora serve un ingente e rapido trasferimento a fondo perduto alle imprese che hanno perso fatturato, ma che hanno mantenuta intatta la loro struttura dei costi. Deve essere l’intervento più ingente, per garantire la sopravvivenza delle imprese, l’occupazione e anche il futuro gettito. L’impresa indebitata, con garanzia dello stato, se fallisce genera debito pubblico, disoccupazione e caduta di gettito.

Ma è necessario pensare alle imprese anche dal punto di vista contabile, introducendo norme che consentano a chi ha perso fatturato di poter capitalizzare i costi. Ripensare alle procedure concorsuali perché le imprese possano avere il tempo di recuperare fatturato dalla ripresa proteggendo cosi sia le aziende stesse che i creditori.

È necessario far partire un piano straordinario di investimenti pubblici e privati nelle grandi infrastrutture, per la manutenzione e per la rigenerazione urbana. Dobbiamo chiudere l’epoca dell’infernale complessità delle norme come antidoto alla corruzione, abbiamo bloccato il Paese e non abbiamo sconfitto la corruzione. Dobbiamo abolire il codice degli appalti, sostituirlo immediatamente con le direttive comunitarie. Dobbiamo superare l’atteggiamento difensivo dei funzionari pubblici, eliminando il reato di abuso d’ufficio e garantendo il loro operato con coperture assicurative adeguate. Dobbiamo abolire l’Anac e sostituirla con intelligenti sistemi di controllo di gestione basati sulla sostanza economica delle transazioni e non sulla mera formalità degli atti.

Dobbiamo ripensare al sistema sanitario, sviluppando la rete dei medici di Medicina generale e del territorio. Con l’eccezione del Veneto, l’assenza dell’efficiente rete dei medici di base è stato il vero fallimento dei nostri sistemi sanitari davanti alla pandemia. Dobbiamo avere una sanità integrata, non esistono App per il tracciamento se non c’è un sistema sanitario unico.

Finora, nonostante la grande inefficienza del nostro sistema pubblico, le nostre imprese sono riuscite a competere e il Paese a esistere con enormi e drammatiche storture (Sud). Ma se tutto ciò ha avuto un senso fino a ieri, fino a prima del Covid-19, oggi non lo ha più. Una delle ragioni di fondo, che ha ispirato il nostro Piano, è il fatto che siamo un Paese con troppe agende in conflitto tra loro, ogni corporazione, grande azienda, leader politico ha una propria agenda che prevale sull’unica agenda che conta: quella del Paese. Ma questa, in uno spirito comunitario che sappia traguardare un interesse prioritario – lo sviluppo di una nazione – non è esistita negli ultimi trent’anni. Il dramma che stiamo vivendo ci impone di cambiare, finalmente. Per questo è nato Ricostruire. Speriamo di essere ascoltati.

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