Più investimenti nella giustizia al servizio di cittadini e imprese
Il nostro Paese è penalizzato dai parametri impiegati per misurare la corruzione
di Paola Severino
4' di lettura
Secondo la ricerca elaborata da The European House Ambrosetti in occasione del Forum di Cernobbio, la spesa per il sistema giudiziario, in rapporto alla popolazione, ci posiziona all’11esimo posto in Europa, e rappresenta il 61% della spesa sostenuta pro-capite in Germania, il 68% di quella sostenuta in Gran Bretagna, il 76% di quella sostenuta dall’Olanda per lo stesso capitolo di bilancio. Un miglioramento del sistema giustizia potrebbe portare a un beneficio economico, in termini di minori costi, compreso tra l’1,3% e il 2,5% del Pil (equivalenti a 22-40 miliardi di euro); mentre l’allineamento delle performance giudiziarie alla media di Germania, Francia e Spagna porterebbe a un aumento dell’attrattività degli investimenti che potrebbe determinare un loro incremento fino a 170 miliardi di euro.
Se ne ricava che un maggiore finanziamento della Giustizia non solo risponde a esigenze primarie, fortemente avvertite dai cittadini come attuazione di diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, ma rappresenterebbe un investimento anche economicamente apprezzabile. Tra l’altro, poiché il diffondersi della pandemia ha comportato il blocco temporaneo delle attività giudiziarie e ha quindi accresciuto l’arretrato giudiziario, si potrebbe sostenere l’investimento per l’implementazione delle tecnologie digitali, reputate efficaci per il miglioramento delle performance giudiziarie, nell’ambito dei fondi europei destinati alla ripresa. L’uso di strumenti digitali ha dimostrato sia nel periodo del lockdown, sia in quello che stiamo ancora vivendo come coda della pandemia, tutte le sue potenzialità. Certo, il processo telematico, soprattutto in materia penale, va usato con le limitazioni e nel rispetto dei canoni del contraddittorio e dei diritti dell’imputato, ma può svolgere importantissime funzioni a supporto dell’efficienza del processo civile e, ancor più, a supporto dell’organizzazione giudiziaria in generale. Si pensi alle funzioni di segreteria e di cancelleria che, pur dopo gli immani e apprezzabili sforzi del ministero della Giustizia per l’informatizzazione giudiziaria su tutto il territorio, ancora non hanno portato a risultati esaustivi. Credo che l’emergenza Covid e le conseguenze che essa ha prodotto in termini di rinvii dei processi evidenzieranno ancor più le croniche carenze di personale e richiederanno un importante ricambio generazionale. Si tratta dunque, pur nell’ambito di un evento tragico e portatore di immani conseguenze negative, di un’occasione da non perdere per la formazione e la selezione di giovani particolarmente dotati in materia di elaborazione, programmazione e gestione dati, destinati a costituire l’ossatura di supporto della giustizia digitale e quindi contribuire in maniera significativa al miglioramento della performance giudiziaria.
Sempre rimanendo sul tema dei rapporti tra giustizia ed economia, tutti sappiamo quanto la corruzione possa incidere sulla reputazione del sistema e quanto la sua diffusione possa condizionare le scelte di un investitore. Proprio per questo dobbiamo però pretendere che la rappresentazione del fenomeno e la sua misurazione avvengano in maniera oggettiva e corretta. Più volte si è detto che affidare l’analisi all’indice di percezione della corruzione non solo introduce un criterio soggettivo, ma finisce per danneggiare proprio quei Paesi, come l’Italia, nei quali il reato viene fortemente e pubblicamente combattuto. È proprio questa situazione che contribuisce a far emergere una elevata percezione della corruzione, mentre in altri Paesi, nei quali la polvere viene nascosta sotto il tappeto, o addirittura si fa in modo che se ne parli molto poco, anche il livello di percezione si abbassa. Non vi è dubbio che l’Italia possa vantare negli ultimi anni il record di leggi anticorruzione, se è vero che tutti i ministri della Giustizia succedutisi nel più recente periodo hanno varato ampi provvedimenti legislativi volti a rendere più efficace e più severa la prevenzione e la punizione di questo reato. Ma, sorprendentemente, la consapevolezza che si ha all’estero di questa realtà è molto più elevata di quanto lo sia in Italia. Quando, nel mio ruolo di rappresentante della presidenza dell’Osce per la lotta alla corruzione, vado in visita in uno dei 54 Paesi che fanno parte di questa importante organizzazione internazionale per la sicurezza, sono testimone diretta del grande apprezzamento di cui gode la nostra legislazione e delle richieste di collaborazione che ci vengono formulate per predisporre strumenti analoghi a quelli che noi da anni abbiamo adottato e sperimentato. Mi meraviglio molto, dunque, quando rilevo che, nonostante la nostra riconosciuta capacità, siamo rappresentati nel Corruption control index, basato appunto sull’indice di percezione, tra gli ultimi posti in Europa e verifico che si classificano in posizioni migliori proprio alcuni dei Paesi che stanno cercando di ispirarsi al nostro modello di prevenzione e repressione.
Tutto ciò non vuol certo dire che possiamo o dobbiamo abbassare la guardia di fronte a un fenomeno criminoso che certamente cercherà di sfruttare l’irripetibile occasione della distribuzione di un enorme ammontare di fondi pubblici. Significa piuttosto che dobbiamo pretendere regole di concorrenza leale anche nella rappresentazione di fenomeni che incidono profondamente sulla reputazione dell’Italia. Certo, si tratta di un compito non facile, anche perché siamo noi i primi a rappresentare in maniera fortemente negativa l’immagine del nostro Paese, ma non appare impossibile chiedere e ottenere una revisione dei parametri di misurazione. Lo facemmo nel breve periodo in cui ebbi l’onore di servire le istituzioni del mio Paese, quando chiedemmo e ottenemmo dalla Banca Mondiale di modificare alcuni parametri di valutazione della performance giudiziaria che punivano ingiustamente l’Italia, con il risultato di risalire nella graduatoria internazionale del Doing Business di ben 35 posizioni in un anno.
Si può fare, dunque, lo dobbiamo ai tanti imprenditori onesti che oggi combattono con encomiabile energia per superare la crisi, ai tanti cittadini che la pandemia ha ridotto in stato di bisogno, ai nostri giovani che oggi più che mai richiedono sostegno e buoni modelli cui ispirarsi.
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