Plant based, i prodotti proteici vegetali crescono a quota 500 milioni
Secondo Unione italiana food il settore è cresciuto dell’8% a valore nel 2022 e di quasi il 3% a volume. Traino da burger e piatti pronti
di Emiliano Sgambato
I punti chiave
5' di lettura
Il cibo sintetico – o coltivato da cellule staminali che dir si voglia – è stato vietato in Italia ancor prima che la sua possibile produzione e commercializzazione vedesse la luce in Europa. E ha acceso un dibattito tra chi lo ritiene un cibo-Frankenstein e chi una soluzione per sfamare una popolazione mondiale in crescita costante incidendo meno in termini di impatto ambientale (meno consumo di acqua e meno produzione di gas-serra).
Nel frattempo però in Italia crescono i consumi di prodotti a base di proteine vegetali, i cosiddetti plant based – dalle bevande alla soia agli hamburger fatti con legumi e barbabietola – ormai diffusi in tutti i supermercati. Sono di natura molto diversa perché non riproducono la vera carne con sistemi in vitro, ma la “imitano” con ingredienti che fanno già parte della nostra dieta. Tuttavia sono nati con lo stesso motivo: fornire un’alternativa alimentare rispetto alla carne, non solo a chi è vegetariano e vegano per motivi etici o convinzioni salutiste, ma anche per chi ritiene che ne derivi un guadagno sia in termini ambientali che per il proprio benessere. Una categoria di consumatori per cui è nata una nuova etichetta: i cosiddetti flexitariani.
Dove cresce il mercato
Secondo i dati appena diffusi da Unione Italiana Food la crescita a valore di questo settore in Italia nel 2022 è stata di 8 punti percentuali sull’anno precedente per un valore di mercato complessivo che si attesta sui 500 milioni di euro e pari a una crescita in volume del 2,8%.Burger e piatti pronti plant based (gastronomia & salumi) crescono di quasi il 12%; il +2,6% è invece messo a segno da gelati e dessert, tengono le bevande vegetali (+0,4%). «I plant based sono entrati nelle scelte alimentari di moltissime famiglie in Italia – commenta Salvatore Castiglione, presidente Gruppo prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food –. Oggi sono oltre 22 milioni i consumatori che li hanno provati e poi inseriti regolarmente nella propria dieta. Una scelta forte e indiscutibilmente consapevole. La ricerca lo conferma: chi li acquista sa bene cosa sono i plant-based e cosa sta mangiando».
Questione di etichetta
«Il 75,5% di chi li conosce – spiegano da Unionfood – sa esattamente di cosa sono fatti. Un dato che indica ottima consapevolezza considerata la “giovane età” dei prodotti a base vegetale. Solo il 3,2% degli Italiani non sa cosa siano». Il merito «è anche delle etichette che per i consumatori sono chiare ed esplicite (80,9%), facili da leggere e comprensibili (78,3%), veritiere e non fuorvianti (79,6%)».Insomma, chi li acquista sa o ritiene di sapere che cosa sta mangiando: un elemento importante per chi pensa che più che vietare (nel caso del cibo sintetico ma anche delle farine di insetti ad esempio) si debba spiegare bene di cosa si tratta ai consumatori per permettere una scelta consapevole (dopo ovviamente aver aspettato i pareri sulla sicurezza alimentare espressi dalle autorità preposte).
«Non dimentichiamo – continua Castiglione – che prodotti come le polpette di melanzane, le panelle di ceci o il latte di mandorle (solo per citarne alcuni) fanno parte da sempre della nostra cultura culinaria. Il mondo delle aziende ha risposto in questi anni a una richiesta crescente del consumatore, lavorando per portare sulle tavole prodotti buoni, di qualità, semplici da preparare e gustare, in linea con la nostra Dieta Mediterranea. Ecco il segreto del loro successo».
Terzi in Europa secondo Gfi
Dati sullo stesso ordine di grandezza, anche se leggermente maggiori, arrivano anche da Good Food Institute Europa (Gfi) che, su base NielsenIQ, ha rilevato che «le vendite di alimenti a base vegetale in Italia sono cresciute del 9% nel 2022, raggiungendo la cifra di 680,9 milioni di euro, piazzandosi al terzo posto nella classifica dei paesi europei con più alto fatturato di prodotti alimentari di origine vegetale, preceduta da Germania e Regno Unito».
Dal 2020 le vendite in questo settore secondo Gfi – organizzazione no-profit internazionale che raggruppa i dati provenienti da 13 Paesi europei – sono cresciute complessivamente del 21% e sul podio dei prodotti di origine vegetale più apprezzati dagli italiani ci sono latte, carne e piatti pronti.
«Nonostante il risultato incoraggiante, per sostenere questo sviluppo è fondamentale che le aziende continuino a investire nell’innovazione, al fine di sviluppare prodotti a base vegetale che soddisfino le aspettative dei consumatori – ha dichiarato Carlotte Lucas, senior corporate engagement manager di Gfi Europe – In Italia è stata presentata una proposta di legge che mira a vietare termini di uso quotidiano come “polpette a base vegetale”, nonostante l’Unione Europea abbia già respinto una proposta simile nel 2020».
La frenata negli Usa
Un segnale di frenata arriva però dagli Stati Uniti, dove questo mercato è decollato prima che in Europa e dove presto potrebbero essere commercializzati i primi prodotti da coltura cellulare. Secondo Boston Consulting Group (Bcg), infatti, «dopo le cifre esplosive registrate nel 2019 e nel 2020 (che hanno visto un aumento del 25% delle vendite al dettaglio), le vendite di carne alternativa sono diminuite dello 0,4% nel 2022, contro un aumento dell’8% della carne tradizionale».
Secondo il colosso delle consulenze però «la decelerazione di questi prodotti green era prevedibile, poiché il 2020 è stato un anno anomalo, con vendite al dettaglio gonfiate dagli effetti del Covid9». Tanto è vero che è un trend che vale solo per la carne: «nel 2022 il mercato al dettaglio statunitense delle proteine alternative – scrive sempre Bcg – è cresciuto del 9% e le vendite di prodotti lattiero-caseari alternativi sono aumentate del 12%, crescendo più rapidamente di quelle dei corrispettivi tradizionali (+10%); il latte vegetale refrigerato ha registrato un incremento delle vendite dell’8% e la categoria degli spalmabili, come la margarina alternativa, è cresciuta a due cifre dopo la contrazione del 2021».
Potenziale elevato
«L'attuale contesto di mercato, caratterizzato da aumento dei prezzi e inflazione dei costi ha rallentato la crescita delle vendite al dettaglio di carni alternative, perché non tutti i consumatori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per questo tipo di prodotti – spiega Lamberto Biscarini, managing director e senior partner di Bcg –. Anche le preoccupazioni relative al prodotto rimangono al centro dell’attenzione dei consumatori, secondo cui c'è ancora margine di miglioramento su aspetti come gusto e consistenza. Per ottenere un'adozione su larga scala, l'industria dovrà lavorare su queste dimensioni e cercare di raggiungere la parità con la carne tradizionale».
Sempre secondo Bcg, il potenziale «è innegabile: aumentare la loro quota a livello globale dall’attuale 2% all’8% entro il 2030 potrebbe portare ad una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente alla decarbonizzazione del 95% dell’industria aeronautica. Per far crescere a lungo termine questo nuovo settore, però, è fondamentale un approccio incentrato sul consumatore».
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