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Plusvalenze calcistiche rilievanti ai soli fini di bilancio

di Franco Roscini Vitali

(LAPRESSE)

3' di lettura

L’emendamento sulle plusvalenze relative allo scambio di giocatori delle società calcistiche è stato eliminato dal decreto Milleproroghe, scelta senza dubbio condivisibile.

Tuttavia, pare di capire che potrebbe essere ripresentato inserendolo in altre disposizioni: c’è da augurarsi che questo non accada. Vediamo perché.

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Il problema delle plusvalenze calcistiche non è di carattere fiscale, ma è un problema che riguarda la redazione del bilancio.

L’emendamento, intervenendo sull’articolo 86 del Tuir, intendeva tassare in modo più stringente le plusvalenze derivanti dalla cessione dei giocatori che dovevano essere «posseduti» per un periodo non inferiore a tre anni, anziché un anno come avviene attualmente: inoltre, la tassazione quinquennale, prevista dall’articolo citato per tutti gli asset, poteva riguardare solo la parte proporzionalmente corrispondente al corrispettivo in denaro, ma non quella che trovava contropartita nello scambio con altro giocatore.

Queste previsioni avrebbero colpito soltanto le società “virtuose”, quelle con bilanci in utile nei quali emerge la plusvalenza che pertanto è tassata quale componente dell’utile di esercizio.

Ma lo scambio di giocatori per generare plusvalenze è generalmente posto in essere da società in perdita che intendono diminuirla per evitare onerose ricapitalizzazioni e per poter rientrare nei parametri “calcistici”. Per esempio, a fronte di una perdita di 1.000, una plusvalenza di 600 porta la perdita a 400. In più il giocatore acquistato in contropartita di quello ceduto lo si ammortizza su più anni, spalmandone l’onere,

Come si può notare, non si tratta di un problema fiscale: pertanto, la modifica ipotizzata, nel caso descritto, non determina alcun effetto positivo in termini di gettito. L’effetto positivo invece si sarebbe determinato se la società fosse stata in utile: ma non era questo lo scopo dell’emendamento che intendeva colpire scambi anomali.

Come accennato, il problema è di carattere civilistico. Si deve premettere che le società calcistiche, come tutte le altre, devono rispettare le disposizioni in materia di redazione del bilancio contenute nel Codice civile, integrato sul piano tecnico dai principi contabili.

L’obiezione che si tratta di imprese con attività «particolare», che hanno alcune specificità, non trova alcun fondamento perché esistono molte imprese, industriali e commerciali, che pur avendo determinate peculiarità, devono comunque rispettare le norme contenute nel Codice civile in materia di bilancio.

Il problema delle plusvalenze derivanti dallo scambio di giocatori, poi, deve essere analizzato anche con riferimento all’altro aspetto, prima accennato, ovvero al rovescio della medaglia, con riferimento al giocatore che è iscritto in bilancio “in cambio” di quello ceduto.

Se lo scambio avviene a valori “gonfiati” per incrementare la plusvalenza, anche il giocatore ricevuto in contropartita è iscritto a un valore “gonfiato”: in presenza di perdite di esercizio reiterate (durevoli) tale valore deve essere svalutato, come avviene per qualsiasi asset immobilizzato.

È questo l’aspetto generalmente trascurato: non ci si deve focalizzare soltanto sulla plusvalenza. La svalutazione è prevista nell’articolo 2426, n. 3, del Codice civile e dai principi contabili Oic 24 (Immobilizzazioni immateriali), Oic 9 (Svalutazioni) e Ias 36 per le società che seguono i principi contabili internazionali.

Si badi bene, la svalutazione riguarda anche uno scambio avvenuto a valori reali se la società presenta in bilancio perdite durevoli.

E questo problema riporta alla situazione di molti anni fa che aveva originato una norma che definire assurda è poco: il famoso «salva calcio», con il quale si ammortizzavano le perdite, situazione che ha fatto intervenire l’Unione Europea.

Infine, anche il problema relativo ai debiti per stipendi non iscritti in bilancio ha dell’incredibile. I debiti si iscrivono sempre, questo è ovvio: i debiti (probabili) più incerti nell’importo o nella scadenza si classificano in bilancio tra gli accantonamenti e solo se non quantificabili o possibili sono menzionati nella nota integrativa, ovvero nella parte descrittiva del bilancio: ma sempre di bilancio si tratta.

In definitiva, le regole ci sono, mentre necessitano amministratori e collegi sindacali seri e competenti, nonché revisori attenti e efficienti.

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