Pmi sempre più indipendenti dalle banche per il trade finance
Le regole di Basilea III hanno frapposto barriere spesso insormontabili tra il mondo del credito e gli esportatori di piccole e medie dimensioni
di Massimiliano Piunti
3' di lettura
La crescente richiesta da parte delle Pmi di prodotti di finanziamento a supporto delle operazioni di export si scontra con una maggiore regolamentazione imposta dal sistema bancario. Il deficit di finanziamento per le Pmi in Europa si attesta ancora intorno ai 400 miliardi di euro, il che penalizza naturalmente le Pmi, impedendo loro di realizzare appieno il loro potenziale.
Questa tendenza emerge anche in Italia dove negli ultimi 10 anni il credito bancario ricevuto dalle Pmi è diminuito del 20%, pari a circa 40 miliardi, passando dai 210 miliardi del 2010 ai 171 miliardi del 2019. Questo dato si scontra nettamente con il significativo incremento delle esportazioni italiane nel mondo che secondo le ultime proiezioni di Sace dovrebbero raggiungere i 600 miliardi di euro nel 2023 (+84 miliardi di euro rispetto al 2022).
Questo contrasto è ancor più accentuato se si pensa che il 55% del export italiano è generato dalle Pmi. Le ragioni di questo ridotto sostegno del sistema bancario alle Pmi sono da attribuire principalmente ai rigidi standard di finanziamento ai quali le banche devono sottostare.
A seguito dell’introduzione di Basilea III, infatti, le banche devono assorbire più capitale regolamentare per concedere prestiti alle imprese. L'assorbimento di capitale risulta ancor più elevato qualora il rating della società finanziata sia basso. Pertanto, al fine di garantire lo stesso livello di redditività, le banche hanno iniziato a focalizzarsi sempre di più su imprese di grandi dimensioni con rating qualitativo medio-alto.
In generale, le Pmi non sono accompagnate da un rating investment-grade e pertanto risultano maggiormente penalizzate dall’introduzione di tali requisiti normativi. In questo contesto emerge che le soluzioni di sconto fatture insieme alle altre soluzioni di finanziamento volte al supporto delle esportazioni sono diventate cruciali per la sopravvivenza e lo sviluppo delle Pmi in Europa.
Negli ultimi anni, la crescente riluttanza del sistema bancario a finanziare le operazioni di trade finance delle Pmi, unita a processi di approvazione del credito sempre più stringenti e farraginosi, hanno portato alla diffusione di veicoli di investimento alternativi specializzati nel trade finance.
Dal punto di vista macroeconomico il 2023 rimarrà un anno di incertezza, visto l’aumento dei tassi che agisce sempre con un effetto ritardato sull’economia reale, si ritiene, infatti, che i prossimi mesi dovrebbero rivelarsi ricchi di informazioni sull' effettiva salute dell’economia, in particolare quella delle Pmi e sulla loro capacità di finanziamento.
Il Fondo monetario internazionale prevede una crescita globale del 2,9% per quest’anno, in calo rispetto al 3,4% del 2022, ma con un buon 3,1% sperato per il prossimo anno. Il tasso di inflazione pesa ulteriormente sulle stime di crescita. Secondo l’Fmi a livello globale dovrebbe passare dall’8,8% nel 2022 al 6,6% nel 2023 e al 4,3% nel 2024, restando al di sopra dei livelli pre-pandemia (3,5%).
La guerra in Ucraina ha certamente spostato gli equilibri economici e politici globali sotto vari aspetti. In questi mesi abbiamo registrato l'urgenza di molte realtà aziendali europee ed extra-europee che, non potendo più acquistare o commercializzare prodotti provenienti dalla Russia per via delle sanzioni in essere a oggi, hanno dovuto trovare nuove soluzioni commerciali.
Dopo due anni d'emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19, la crisi energetica e talvolta, nei casi più gravi, da una crisi alimentare, ha inoltre portato una forte pressione sul debito di molti Paesi africani e asiatici. Nel corso degli ultimi mesi molti paesi hanno dovuto ricorrere agli aiuti finanziari del Fondo monetario ionternazionale oppure hanno dovuto procedere con una ristrutturazione del debito.
Riteniamo che la forte pressione sui debiti sovrani nei Paesi emergenti non sia transitoria e che nei prossimi mesi altri Paesi potranno richiedere aiuto all’Fmi, Banca mondiale e Paesi partecipanti al Club di Parigi. Si ritiene inoltre, che questo rischio sia ancor più aggravato dall'esistenza di numerosi accordi bilaterali presenti tra la Cina e il Paese interessato che talvolta non permettono di avere una piena visibilità dell'effettiva quantità di debito detenuta da certi Paesi.
Managing director - Trade finance, Cfe Finance Group
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