Pmi, sgravi fiscali e Pir: la Borsa non è più un tabù
di Isabella Della Valle e Lucilla Incorvati
4' di lettura
Crescono i flussi di capitale canalizzati su Piazza Affari anche grazie alla quotazione delle piccole medie imprese che stanno mostrando grande dinamismo soprattutto nell’ultimo anno, complice l’avvento dei Pir, i piani di risparmio individuali che hanno appena spento la prima candelina. E la misura appena varata dal Governo con la Finanziaria 2018(un credito d'imposta sul 50% dei costi di consulenza sostenuti per la quotarsi) è pronta a dare un ulteriore impulso alla quotazione delle Pmi. Sul piatto ci sono 80 milioni da usare nel triennio 2019-2021 (massimo 500mila euro ad azienda)che dovrebbero spingere 60/70 Pmi a quotarsi ogni anno.
Alcuni canali alternativi a quello bancario esistevano da tempo (minibond, private equity e venture capital), ma i Pi, a giudicare dai numeri (flussi netti pari a 7,5 miliardi a settembre 2017 con stime superiori ai 10 miliardi a fine anno) stanno avendo un impatto maggiore sull’atteggiamento degli imprenditori. Questi ora guardano la Borsa con meno diffidenza ma sempre più come un’opportunità per finanziare, ampliare e dare visibilità al proprio business. Perché i Pir hanno intercettato e modificato l’approccio degli investitori e degli intermediari, che ora guardano al mercato in un’ottica di medio lungo termine. Il listino dedicato alle Pmi infatti è più liquido e certe barriere all’ingresso (pochi scambi e modeste possibilità di rendimenti) si sono ridotte. «Lo scenario dei prossimi anni mostra un contesto favorevole per lo sviluppo delle Pmi generato dal binomio risparmio/incentivi - sottolinea Anna Lambiase, ad di Ir Top Consulting e PmiCapital -; da un lato incentivi all'investimento che hanno permesso l'afflusso di nuova liquidità e la nascita di numerosi fondi Pir compliant dedicati alle small-mid cap, dall'altro agevolazioni fiscali nella forma del credito d'imposta per sostenere le Pmi in una scelta strategica di quotazione in Borsa per dare all'azienda nuove opportunità in termini di visibilità, internazionalizzazione e crescita per M&A». Come spiega l’esperta, questi elementi, insieme ai requisiti di ammissione e permanenza definiti su misura della piccola e media impresa e alla sua recente qualifica di Sme Growth Market, contribuiscono a rendere Aim Italia lo strumento di finanza alternativa per eccellenza. Insomma, oggi rispetto al passato, l’azienda ha più possibilità di crescere, di avere maggiore visibilità e di essere valutata correttamente. Certo quotarsi non è una passeggiata; implica obblighi di trasparenza ben precisi, una corporate governance di livello, una serie di oneri da seguire diligentemente e la disponibilità a sottoporsi ai controlli dell’authority. Che questo sforzo sia ben ricambiato, lo sanno bene anche le società che hanno sposato il programma Elite, messo a punto da Borsa Italiana nel 2012 con Confindustria, Mef e Mise. Un percorso innovativo per educare le Pmi ad alto potenziale che vogliono aprirsi ai mercati internazionali. Gli effetti di questi fattori si vedono nei numeri dell’Aim che oggi conta 96 titoli: nel 2017 ci sono state 24 nuove quotazioni (+118% rispetto al 2016), 5,7 miliardi di capitalizzazione (+96% sul 2016), una raccolta di 1,3 miliardi (sei volte quella del 2016).
«L’ultimo trimestre del 2016 - spiega Massimo Grosso, consigliere di Advance Sim, una delle società più attive sul segmento delle Pmi e sul mercato Aim Italia come NomAd e Financial Advisor - ha visto il comparto delle Pmi in una fase di stallo, complice anche l’avvento della Brexit in luglio. Non esistevano più istituzionali sul mercato pmi e le quotazioni in Borsa erano poche. Andavamo da istituzionali anche con aziende meritevoli, ma i gestori non avevano spazio per allocare parte del portafoglio su queste aziende». Insomma, non c’era richiesta prima dei Pir , non ci si voleva esporre sulle Pmi. «Da gennaio - prosegue Grosso - c’è stato un cambiamento molto repentino. Da allora tutti i grandi investitori hanno cambiato strategia: gli stessi fondi non Pir che prima non volevano investire sulle pmi hanno iniziato a chiamarci perché quasi obbligati ad allocare parte di liquidità sulle piccole medie imprese. All’inizio c’è stato un notevole interesse sulle Pmi legate all’Mta e allo Star. Sostanzialmente iniziavano a comprare le più grandi tra le più piccole e solo in un secondo tempo sono arrivati all’Aim dove c’erano aziende molto sottovalutate nonostante i buoni fondamentali. Le aziende meritevoli hanno visto maggior attenzione, più liquidità e un miglioramento delle performance». Ovviamente però, quando la domanda è alta ed è influenzata da fattori non legati ai fondamentali il rischio è che si snaturi. Gli ingenti flussi di denaro potrebbero infatti incentivare la quotazione di aziende che, più che da un piano di sviluppo ponderato e motivato, siano attratte dagli ingenti investimenti che i gestori stanno facendo confluire sull’Aim (sulle pmi i Pir devono investire il 21% di quanto raccolto). Si rischia così che entrino sul mercato anche aziende che non hanno i giusti i requisiti. Sarà quindi molto importante valutare questo aspetto in fase di accettazione e agire in maniera tale da tutelare gli investitori. Prima della creazione dei Pir erano le forti convinzioni a traghettare le aziende in Borsa, non solo le potenti correnti di liquidità.
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