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Pnrr, assunzioni flop negli enti locali: il personale scende anche nel 2022

Stipendi bassi e contratti a termine azzoppano le norme che avrebbero dovuto far crescere gli organici. L’anno scorso si è chiuso per la Rgs con un’altra miniperdita di dipendenti, assunti 2.500 tecnici a tempo sui 15mila attesi

di Gianni Trovati

Pnrr, Decaro (Anci): per i Comuni occasione da 40 miliardi

3' di lettura

Meno 0,12 per cento. È in questo dato, e soprattutto nel segno «meno» che lo precede, il magrissimo risultato incontrato fin qui dall’opera di «rafforzamento amministrativo» della Pa per tentare con più chance di successo la prova dell’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Il dato, figlio delle proiezioni elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato per il «conto annuale del personale» indica l’evoluzione degli organici negli enti territoriali: cioè proprio nel ramo della pubblica amministrazione unanimemente considerato più in difficoltà nell’affrontare la moltiplicazione per cinque della capacità di spesa di investimenti chiesta dal Pnrr.

Nessun cambio di rotta nel 2022

Per provare a rimediare ai lunghi anni di turn over con il freno tirato, il governo Conte-2 prima e quello guidato da Draghi poi hanno cambiato più volte le regole per allargare gli organici di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni. Il 2022 avrebbe dovuto registrare i primi effetti del cambio di rotta: e invece la Ragioneria generale calcola che anche l’anno scorso i dipendenti sono diminuiti di qualche centinaio, a differenza di quel che è accaduto nel resto della Pa dove un piccolo aumento di dipendenti di incontra quasi ovunque. Con un’altra eccezione “strategica”: le agenzie fiscali, che l’anno scorso hanno perso un altro -1,86% di dipendenti.

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Città metropolitane e Province sotto la media

Ancora peggio della media complessiva registrata dal comparto delle Funzioni locali vanno le amministrazioni dove le difficoltà sono ancora più forti, cioè le Città metropolitane e le Province colpite dal tentativo di cancellazione caduto con il referendum del 2016: l’anno scorso il loro personale si è ridotto rispettivamente dello 0,97% e dello 0,99%. Qualcosa, evidentemente, non va.

Il personale a tempo determinato

Il livello di delusione non cambia se si concentra la lente sul personale a tempo determinato. È qui il cuore delle forze da mettere in campo per il Pnrr, che di principio consente solo assunzioni a tempo entro il calendario del Piano che si chiude al 2026. E proprio per questo a fine 2021 un emendamento concordato fra Parlamento e Governo al decreto Pnrr-1 targato Draghi (Dl 152/2021) ha introdotto un meccanismo di spazi aggiuntivi per le assunzioni a tempo che nelle stime avrebbe dovuto portare fino a 15mila tecnici ed esperti nei Comuni. Anche in questo caso i dati della Ragioneria generale parlano un linguaggio diverso: e nel confronto fra voci omogenee calcolano 2.492 nuovi ingressi, meno di un quinto del previsto.

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Le spiegazioni possono essere molte. La prima guarda ai conti, perché a differenza di quel che accade nei ministeri le assunzioni negli enti territoriali sono sì permesse dalle norme nazionali, ma sono pagate dai bilanci locali. L’aiuto statale è stato riservato al reclutamento di tecnici a tempo nei Comuni fino a 5mila abitanti. Ma il decreto che ha ripartito i 30 milioni per pagare 1.026 tecnici in 760 mini-enti è arrivato 14 mesi dopo la norma che lo prevedeva, alla fine di un iter non esattamente fulmineo come richiederebbe l’urgenza del Pnrr.

L’allarme degli amministratori locali

Ma c’è di più, come spiegano gli amministratori locali. «I professionisti non vengono a lavorare da noi», va ripetendo da tempo il presidente dell’Anci Antonio Decaro sottolineando che l’incrocio fra il tempo determinato e i livelli retributivi più bassi di quelli che si incontrano nelle altre Pa, dove ad oggi sono maggiori anche le promesse di stabilizzazione per chi entra con il cappello del Pnrr, sono letali per l’attrattività di un posto in Comune. Perché nella ripresa post pandemica dei concorsi molti partecipano a più selezioni, e ovviamente quando possono scegliere vanno dove le prospettive sono più solide e le buste paga sono meno stentate.

Il nodo dell’attuazione

Ma accanto alle cause, a preoccupare sono le conseguenze. Perché i 40 miliardi che il Piano indirizza agli enti territoriali passano attraverso quasi 6mila «soggetti attuatori» (i Comuni impegnati in almeno un investimento sono 5.708, e l’80% di loro ha meno di 10mila abitanti), dove gli uffici tecnici sono spesso all’osso e dopo aver retto con fatica alla prima fase, grazie anche alla mole dei progetti degli anni scorsi ripresi per il Pnrr, ora si entra nella tappa decisiva dei bandi e delle aggiudicazioni. Una grossa mano è arrivata dagli accordi quadro con Invitalia, ma da sola evidentemente non basta.

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