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PNRR e sistema bancario

Quale modello di banca per accompagnare le transizioni?

di Fabio G. Angelini

(Adobe Stock)

4' di lettura

Sulla partita del PNRR l’Italia si è giocata tutto. Lo si sapeva, eppure non sono mancati alcuni gravi errori di valutazione. Il primo è l’aver forse valutato con eccessivo ottimismo le capacità progettuali di un Paese che, da Maastricht in poi, complice la stretta sulla finanza pubblica, ha progressivamente rinunciato a immaginare il suo futuro. Le numerose eccezioni che pure ci sono non sono infatti sufficienti a colmare i gravi ritardi accumulati sul terreno della competitività dal nostro sistema produttivo. Il secondo è una conseguenza del primo e riguarda l’illusione che sia sufficiente inondare il Paese di soldi pubblici per rimetterlo in moto, tralasciando di guardare la quesitone anche dal lato dell’offerta. Anche qui ci vorrà tempo prima che la nostra struttura produttiva sia in grado di far fronte all’impennata della domanda di investimenti dovuta alla transizione ecologica e digitale. Il terzo attiene infine all’inspiegabile rinuncia alla leva finanziaria attivabile nell’ambito dei rapporti di partenariato pubblico-privato che avrebbe potuto generare un effetto moltiplicatore rispetto alle risorse pubbliche messe in campo e attivare un ben più ampio processo di mobilitazione delle energie del Paese.

Per colmare questi ritardi e porre rimedio a questi errori il sistema bancario potrebbe fare molto. Non tanto e non solo sul fronte dell’erogazione del credito, quanto piuttosto – come recentemente evidenziato da Stefano Lucchini – sotto il profilo del suo essere fattore abilitante delle transizioni. Anche qui, tuttavia, emergono alcune questioni di fondo che meritano di essere discusse.

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I cambiamenti che hanno sin qui segnato la trasformazione del sistema bancario hanno contribuito alla progressiva affermazione di una certa idea di banca che però, una volta affrancata dall’indirizzo politico, ritenuto incompatibile con lo sviluppo del mercato unico, resta tuttavia confinata esclusivamente nella sua dimensione di impresa, fortemente votata alla ricerca dell’efficienza e del rendimento, e direttamente esposta alla concorrenza dei nuovi attori non bancari e delle FinTech. Si tratta di una visione del sistema bancario gravemente deficitaria, i cui limiti risultano evidenti allorquando ci si scontra con le evidenti difficoltà che il Paese incontra sul fronte dell’attivazione di quei processi di trasformazione che, per avere successo, presuppongono il coinvolgimento di tutte le forze economico-sociali in vista del raggiungimento degli obiettivi politico-economici in modo inclusivo e armonico rispetto alla totalità degli interessi in gioco. 

La più recente evoluzione del sistema bancario e la sfida delle FinTech (che interessa tanto i nuovi operatori, quanto gli incumbent) - fondata sui driver dei big data e dell’efficienza operativa - rischia in altri termini di lasciare scoperte alcune specifiche dimensioni dell’attività del credito e, in particolare, la sua diretta connessione - quale indispensabile cinghia di trasmissione - con la politica economica del Paese. Lo testimoniano la difficile messa a terra del PNRR, le difficoltà che le imprese incontrano nell’accesso a canali di finanziamento alternativi a quelli bancari e la mancata attivazione di quelle leve strategiche necessarie per accompagnare la ristrutturazione del nostro sistema economico nel segno di una minore dipendenza dalla finanza pubblica e, dunque, di un rafforzamento della sua componente privatistica quale condizione di maggiore dinamismo e resilienza. 

Ci si riferisce in particolare alla dimensione relazionale dell’esercizio del credito e al suo legame costitutivo con il territorio che, a sua volta, rinvia a quelle tematiche di natura identitaria che definiscono strutturalmente il nostro sistema produttivo e che sono destinate a recuperare centralità alla luce dei notevoli passi indietro compiuti dalla globalizzazione per effetto della pandemia e dei nuovi assetti geopolitici. La dimensione meramente imprenditoriale del sistema bancario non esaurisce né esprime compiutamente il senso dell’essere banca. Essa trascura, in particolare, la valenza sociale dei compiti sottesi all’attività bancaria nell’ambito del più ampio progetto di trasformazione economico-sociale del Paese delineato dai costituenti ed oggi bisognoso di una profonda rivisitazione alla luce del framework costituzionale eurounitario, nel quale i criteri ordinatori dei processi economico-sociali sono rappresentati dalla tutela della concorrenza e della stabilità finanziaria.

Non si intende con ciò guardare con nostalgia all’indirizzo politico sul sistema bancario, bensì semplicemente riaffermare la valenza necessariamente “politica” dell’attività bancaria e la necessità perciò di ripensarne l’operatività non soltanto in termini di attività di impresa ma quale forma di “intervento pubblico conforme” al mercato stesso, funzionale al corretto spiegarsi delle sue dinamiche concorrenziali piuttosto che quale elemento distorsivo di queste ultime. 

L’ordinamento europeo, del resto, si radica sul riconoscimento delle posizioni di libertà dei singoli, sul protagonismo della società civile e sul pluralismo economico-sociale. In questo disegno complessivo, i territori non possono perciò rinunciare alla presenza accanto al modello della ‘banca-impresa’ di quello della ‘banca-amministrazione’ (riprendendo il concetto di amministrazione oggettivata di Feliciano Benvenuti) che - quale espressione della sussidiarietà orizzontale e, dunque, piena manifestazione della sovranità popolare che si organizza in forma privatistica nel perseguimento del bene comune - è in grado di combinare il suo essere pienamente impresa con il riconoscimento della valenza pubblica dei fini perseguiti attraverso l’esercizio del credito e della responsabilità stessa che essa assume nei confronti oltre che degli shareholders anche della comunità di riferimento quale attore in grado di favorire - attraverso l’utilizzo de suoi molteplici linguaggi - l’allineamento degli interessi in gioco in funzione del progresso economico-sociale del territorio di riferimento in termini inclusivi e poliarchici. 

Tale modello di banca, pur non essendo direttamente coinvolto nell’elaborazione e nell’attuazione della politica industriale e infrastrutturale del Paese, rappresenta tuttavia un attore essenziale ed insostituibile nell’accompagnare i processi di trasformazione che interessano l’economia reale e condizione di efficacia dei vari strumenti di politica economica. Una banca in grado di svolgere un simile ruolo deve essere capace di operare sul territorio e sui mercati internazionali, dialogando con famiglie, imprese, istituzioni e investitori al fine di agevolare i processi di sviluppo locale grazie alla propria capacità di relazione, di mediazione culturale e alla capacità di svolgere il ruolo di fattore abilitante della transizione da un sistema finanziario bank-based ad un sistema market-based.

Quello delle ‘banche-amministrazioni’, grazie al loro essere espressione della sussidiarietà orizzontale, non rappresenta dunque un modello destinato a scomparire quanto piuttosto a diventare uno snodo centrale nei rapporti tra finanza pubblica e finanza privata, operando (sul piano culturale e sociale prima ancora che economico) come struttura di servizio comune attraverso una rete di banche e investitori istituzionali quale catalizzatore di risorse e competenze e fattore di innesco dei processi di trasformazione economico-sociale che interessano i territori.  

Fabio G. Angelini - Università Uninettuno di Roma

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