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Pnrr, retromarcia sui piani delle città: possono rientrare

ll Governo torna indietro sul taglio dei programmi integrati ma nel decreto di novembre clausola di responsabilità sulla spesa effettiva

di Manuela Perrone e Gianni Trovati

Pnrr, all'Italia la terza rata da 18,5 miliardi

3' di lettura

Dietrofront. O almeno sembra. La proposta di revisione del Pnrr mandata il 7 agosto dal Governo a Bruxelles prevedeva il taglio dei fondi da 2,49 miliardi dei Piani urbani integrati, cioè i progetti di recupero e riqualificazione delle aree disagiate nelle città metropolitane, da Scampia a Napoli al Corviale Roma. La sforbiciata, che aveva fatto infuriare i sindaci, è tornata ieri, martedì 10 ottobre, al centro della cabina di regia convocata dal ministro Raffaele Fitto, dove il Governo pare aver cambiato orientamento.

La clausola di responsabilità

I Piani, si è detto al vertice a Palazzo Chigi, potranno rientrare nel Pnrr, accompagnati però da una «clausola di responsabilità» sulla spesa che Fitto ha annunciato di voler inserire nel nuovo decreto Recovery di novembre. Su richiesta degli amministratori locali, la clausola sarà estesa però - ha assicurato il titolare del Pnrr - a tutti i soggetti attuatori, a partire dai ministeri. L’idea è di vincolare i finanziamenti a un’attestazione sulla effettiva realizzazione degli interventi nei tempi previsti dal Piano, pena la revoca dei fondi e quindi la necessità di trovare le coperture nei bilanci dei singoli soggetti attuatori. Ipotesi ambiziosa che però, secondo più di un osservatore, potrebbe aumentare il rischio di paralisi degli investimenti di fronte all’esigenza di garantire preventivamente la piena attuazione di opere su cui le incognite restano numerose. Si teme, insomma, una nuova forma di paura della firma da parte di chi è chiamato a certificare oggi la capacità futura di mantenere gli impegni. «Una notizia positiva», commenta il presidente Anci Antonio Decaro. «Il Governo ha rivisto la propria decisione accogliendo le nostre pressanti richieste». Esulta anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, sottolineando il fronte «bipartisan» che avrebbe ottenuto la vittoria.

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L’apparente frenata di Fitto

Ma a sera arriva un’apparente frenata di Fitto. «Oggi non è stato deciso nulla», mette a verbale in una nota, confermando però che il Governo «proporrà una specifica disposizione normativa che prevederà la responsabilizzazione dei soggetti attuatori con il loro subentro nella parte sanzionatoria conseguente al non raggiungimento del risultato».

Che cosa avrebbe fatto cambiare idea al Governo? I sindaci si sono presentati al vertice con un dossier nel quale spiegavano che per il 70,7% degli interventi (409 su 600 circa oggetto di rilevazione) è già stato sottoscritto almeno un contratto, che il 76% dei progetti dichiara di essere in linea con i tempi e che nessun amministratore afferma di non poter concludere le proprie opere entro il 2026. Ma sul negoziato potrebbero aver pesato anche alcune obiezioni mosse dai tecnici della Commissione, ai quali, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, si sarebbe rivolto direttamente più di un sindaco metropolitano.

Il nodo giustizia

Non sono solo i Piani integrati, del resto, a registrare qualche inciampo nel confronto con la Commissione Ue. La giustizia è un altro capitolo critico. Il primo nodo, più semplice da sciogliere, riguarda il target di digitalizzazione dei fascicoli previsto a fine dicembre: l’Italia aveva già chiesto una modifica, che ora andrà di nuovo ritoccata, complici i niet informali arrivati da Bruxelles. Decisamente più complicata la richiesta italiana di revisione al ribasso degli obiettivi di riduzione dell’arretrato, che la Ue considera strategici. Il Guardasigilli Carlo Nordio presenterà a stretto giro a Fitto un piano di azione per monitorare e intervenire negli uffici più in difficoltà. Ma il negoziato resta in salita.

Ancora circondato da incognite, infine, il dossier asili nido. Il Governo ha ribadito la volontà di avviare un nuovo bando per recuperare i circa 90mila posti nuovi contestati dalla Commissione, ma senza dare certezze né sui tempi né sulle risorse a disposizione. I 900 milioni evocati nella proposta di rimodulazione al momento rimangono sulla carta.

Il lavorìo intorno al Pnrr, insomma, continua. Mentre i mesi passano e i rischi di mancata attuazione crescono: se il 50% del Piano non taglierà il traguardo, ha avvertito ieri l’Upb, l’Italia registrerà 1,5 punti di crescita in meno da qui al 2026.

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