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PNRR, rischi corruzione e mafia

di Gianmarco Daniele

3' di lettura

Il PNRR rappresenta uno shock alla spesa pubblica senza precedenti negli ultimi decenni. L'ammontare totale del PNRR è di circa 200 miliardi, di cui 122 di prestiti e 69 di sovvenzionamenti a fondo perduto. La sfida per le stazioni appaltanti è quella di riuscire a spendere in maniera utile i fondi del PNRR, in breve tempo, limitando sprechi, corruzione e infiltrazioni mafiose. Non poco.
I fondi arrivano a seguito della pandemia, un periodo di forte riduzione di alcuni reati come rapine e furti (legato al minor tempo speso all'aperto), a cui non si è accompagnata una simile riduzione dei reati contro la Pubblica amministrazione, che per esempio, nel 2021 in Sicilia, registrano un incremento di circa l'8 % che raggiunge il picco del 32% circa per i reati di corruzione. Allo stesso tempo, si contano 29 comuni al momento affidati ad una commissione straordinaria a causa di infiltrazioni mafiose. Affidamenti spesso legati ad infiltrazioni nell'aggiudicazione degli appalti.

In questo quadro, le stazioni appaltanti si troveranno a spendere un ammontare di risorse sproporzionatamente maggiore. Un recente studio mostra che per spendere almeno il 95 per cento delle risorse del PNRR bisognerebbe triplicare la velocità di spesa delle stazioni appaltanti. Si tratta di uno scenario paragonabile a quello delle grandi emergenze, quando i comuni ricevono fondi extra per far fronte ad emergenze come le inondazioni o i terremoti. Come sottolineato da Franco Roberti (Procuratore Nazionale Antimafia), “la ricostruzione post-terremoto è un boccone ghiotto per la mafia”. Come illustrato in un recente studio, la buona notizia è che durante la fase emergenziale, quando il monitoraggio anti-mafia è presente, non si osserva una maggiore partecipazione di aziende mafiose agli appalti nei comuni colpiti dal terremoto. La cattiva è che negli anni successivi al terremoto, quando il monitoraggio si interrompe, aumenta in maniera considerevole la probabilità che un'impresa mafiosa partecipi ad un appalto. L'assegnazione dell'appalto è solo la prima fase.

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L'infiltrazione mafiosa o la corruzione si nasconde facilmente nei subappalti, più difficili da monitorare. Recentemente è stato eliminato il limite imposto all'uso dei subappalti e spetterà alle stazioni appaltanti indicare le prestazioni che l'appaltatore non potrà affidare a terzi (l'idea è che il subappalto consenta alle imprese di gestire meglio le commesse, riducendone costi e rischi). Un recente studio su dati italiani conferma queste preoccupazioni: le imprese indagate per corruzione concedono in subappalto una fetta più ampia dell'appalto rispetto a quelle non indagate. E hanno oltre il 60 per cento di probabilità in più di scegliere subappaltatori indagati per corruzione. Il subappalto può anche essere utilizzato per favorire in maniera illecita cartelli di imprese, come riportato da indagini antitrust su imprese che si sono impegnate a non partecipare alle gare in concorrenza con gli altri membri del cartello in cambio di una quota della commessa.È evidente, quindi, come la capacità tecnica e organizzativa di indire appalti pubblici sia fondamentale.

Con 36,000 stazioni appaltanti e oltre 100,000 centri spesa non sarà facile. Col PNRR il governo dovrebbe finalmente procedere con la riforma della qualificazione delle stazioni appaltanti. Una normativa del 2016, finora inattuata. La buona notizia è che il 30 marzo, ANAC ha approvato le linee guida per la riqualificazione delle stazioni appaltanti. Un primo passo. L'attesa riforma ha obiettivi auspicabili: istituzione dell'anagrafe unica delle stazioni appaltanti, qualificazione delle stesse e riduzione del numero delle stazioni, centralizzando soprattutto quelle dei piccoli comuni.

Analizzando i piccoli comuni è possibile seguire il filo che lega la corruzione alla spesa pubblica. In un recente studio, illustriamo il caso del patto di stabilità, in vigore fino a pochi anni fa: un caso speculare rispetto a quello del PNRR, in cui si è ridotta la spesa pubblica. Con l'introduzione del patto di stabilità nei piccoli comuni, limitando la spesa, si è ridotto il numero di indagini per corruzione. Dove il patto di stabilità era più stringente la corruzione è diminuita fino al 30%. L'effetto è più forte nei comuni in cui il sindaco poteva ricandidarsi e per i sindaci più istruiti. In altre parole, i sindaci più qualificati hanno reagito alla minore spesa riducendo gli sprechi soprattutto quando potevano ricandidarsi alle successive elezioni comunali. In vista del PNRR, la ricerca economica ci invita quindi a puntare su qualificazione, trasparenza e meccanismi di accountability: utili sia a migliorare le performance dei politici locali che quelle delle stazioni appaltanti.

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