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Pnrr, i ritardi italiani e la necessità di recuperare in «zona Cesarini»

Tanti dei progetti da varare per spendere al meglio i soldi comunitari non sono stati completati e, in certi casi, neppure abbozzati

di Giancarlo Mazzuca

(RafMaster - stock.adobe.com)

2' di lettura

Lo confesso: come giornalista ho avuto la fortuna di avere un grandissimo maestro, Indro Montanelli. Lui mi ha insegnato tantissimi segreti di quello che un tempo veniva chiamato “mestieraccio” e, in particolare, mi ha sempre detto di evitare di autocitarmi negli articoli. Questa volta, però, scusandomi con i lettori, faccio una piccola eccezione a proposito del Pnrr che, in questi giorni, è al centro dell'attenzione in Italia perché abbiamo scoperto di essere indietro nel varo di diversi progetti che dovrebbero ottenere i finanziamenti europei.

A questo proposito, vorrei, infatti, ricordare cosa scrissi in un mio “Sale in zucca” dell'ottobre 2020 su quei protagonisti della scena politica di casa nostra che si erano subito presi il merito di aver ottenuto dalla Ue più fondi di qualsiasi altro partner comunitario (qualcosa come 200 miliardi) senza avere idea di come, poi, utilizzarli “in toto”. Scrissi allora: «…non è stato neppure molto corretto sostenere, come ha fatto qualcuno, che i soldi europei “saranno spesi bene” perché i soldi presi in prestito (che sono la parte più cospicua dei fondi a noi assegnati) non si devono “spendere” ma “investire”. Ancora una volta è venuta, insomma, a galla la solita mentalità italica un po' “furbetta”». E avevo aggiunto: «Ma il vero problema oggi sul tappeto è un altro. Molti in Italia parlano infatti …. come se tutto fosse già stato deciso in modo irrevocabile non tenendo affatto conto della possibilità che l'Europa ci ripensi anche perché non abbiamo ancora presentato il nostro piano di utilizzo dei fondi comunitari».

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Ecco, sono trascorsi due anni e mezzo da quelle osservazioni sul “Sole” e scopriamo adesso che tanti dei progetti da varare per spendere al meglio i soldi comunitari non sono stati completati e, in certi casi, neppure abbozzati: a Palazzo Chigi si sono succeduti tre governi ma, sul problema, siamo, per certi casi, ancora al punto di partenza. E, cosi come il sottoscritto, molti altri avevano visto giusto già allora: parole, parole, solo parole con il risultato che stiamo adesso cercando di strappare i tempi supplementari in modo da poter finalmente varare tutti i nostri piani. Un'impresa non certo facile tanto che non è neppure esclusa la possibilità di dover rinunciare ad una parte dei fondi che ci sono stati dati in prestito.

La verità che è emersa in questi giorni non è davvero bella tenendo anche conto che, a suo tempo, avevamo sudato le classiche sette camicie per strappare i soldi Ue. Come dimenticare, infatti, il lungo braccio di ferro che dovemmo sostenere con i Paesi cosiddetti “frugali” pronti a criticare Bruxelles per essere stata troppo generosa nei nostri confronti? Nel 2020 i vertici europei avevano allentato i cordoni della borsa, quasi un miracolo se pensiamo invece alle tante “battaglie” inutili combattute nei decenni precedenti per ottenere qualche finanziamento in più da parte dell'Unione. Anche questa volta non è, comunque, mai troppo tardi per cercare di rimediare “in extremis” ai nostri ritardi: al di là di tutte le polemiche su chi sia stato il vero colpevole degli slittamenti nella stesura dei piani, ora non possiamo fare altro che sperare nella condiscendenza di Bruxelles e nella capacità del governo Meloni di recuperare il tempo perduto in “zona Cesarini”.

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