Politica estera italiana e lotta contro i fantasmi
La posizione atlantista ed europeista del governo Draghi è stata infine confermata, ma le resistenze da quest'ultimo incontrate non vanno sottovalutate
di Sergio Fabbrini
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Come conseguenza della guerra russa, la politica internazionale è al centro dell’agenda dei Paesi democratici. Si è appena concluso a Bruxelles il Consiglio europeo dei 27 capi di governo dell’Unione europea dedicato ai temi dell’allargamento. Oggi si terrà nelle Alpi Bavaresi una riunione dei leader dei sette Paesi più industrializzati per stabilire le strategie finanziarie contro la Russia. Dopo domani inizierà a Madrid il vertice dei 30 Paesi che fanno parte della NATO per discutere di aiuti militari all’Ucraina. La guerra russa sta mettendo alla prova la politica interna delle democrazie. In Italia, qualche giorno fa, sugli aiuti all’Ucraina si è spaccato il maggiore partito che sostiene il governo Draghi, spaccatura che riflette l’antiamericanismo e l’antieuropeismo diffusi nel Paese. Secondo un sondaggio dell’Eurobarometro di pochi giorni fa, più del 65% degli europei si riconosce nelle scelte dell’Ue, mentre quella percentuale è al di sotto del 50% in Italia.
La posizione atlantista ed europeista del governo Draghi è stata infine confermata, ma le resistenze da quest'ultimo incontrate non vanno sottovalutate. Nel dibattito parlamentare della settimana scorsa, gli oppositori agli aiuti all'Ucraina hanno sostenuto che l'Italia può (anzi, deve) sottrarsi a qualsiasi obbligo europeo e atlantico. Per loro, l'Italia è un Paese indipendente che può perseguire una politica estera funzionale ai propri interessi (economici, energetici, agricoli) o alla sua vocazione alla pace. Tale possibilità, però, non c'è da tempo. Dopo la Seconda guerra mondiale, i governi italiani hanno costruito un'interdipendenza (con le altre democrazie) così profonda da escludere comportamenti unilaterali. La scelta di aderire alla NATO e poi di promuovere il processo di integrazione hanno cambiato i termini della politica estera italiana. Quest'ultima è parte di un processo decisionale che coinvolge altri attori. Il mondo della prima metà del secolo scorso, dove ognuno partiva dal proprio ombelico nazionale, non c'è più.
Oggi, il nostro ombelico è collocato nell'Alleanza atlantica e nell'Ue. La scelta di aderire all'Alleanza atlantica fu motivata da ragioni storiche. Stabilizzare la democrazia in un Paese (il nostro) con diffuse nostalgie e tentazioni autoritarie. La fine della Guerra Fredda ha fatto della NATO ciò che avrebbe dovuto essere fin dall'inizio (ma che non sempre era stata), cioè l'organizzazione di mutua difesa delle democrazie. Tant'è che appena un Paese giungeva alla democrazia, i suoi cittadini chiedevano subito di farne parte. Uscire dalla NATO, come è stato proposto nel dibattito parlamentare, significherebbe privarsi della principale difesa del nostro Paese. Certamente, la NATO non è fatta di rose e fiori. L'America ha esercitato e continua ad esercitare al suo interno un ruolo egemonico. Tuttavia, tale egemonia è stata accettata, non solamente per la forza dell'America ma anche per il suo carattere aperto. L'America non è mai stata (tanto meno lo è oggi) l'attore unitario immaginato dagli antiamericani. La sentenza dell'altro ieri della Corte Suprema (Dobbs vs. Jackson Women's Health Organization), con la quale viene de-costituzionalizzato il diritto (regolato) all'aborto stabilito da una precedente sentenza della stessa Corte (Roe vs Wade del 1973) e viene formalizzato il principio che si possono togliere diritti riconosciuti, è una dimostrazione della profondità delle divisioni interne a quel Paese. Ha scritto Foreign Policy che, con Dobbs, l'America si è avvicinata ai suoi nemici (come la Russia, la Corea del Nord o l'Iran), allontanandosi dalla maggioranza dei suoi amici (dell'Ue). Quale America i nostri antiamericani rifiutano? Quella internazionalista di Biden o quella isolazionista di Trump? Quella fondamentalista delle chiese evangelicali (che ha spinto per Dobbs) o quella liberale di e pluribus unum?
Anche la scelta di dare vita all’Ue nasce da ragioni storiche. Dopo l'Olocausto e la guerra, occorreva trovare il modo di proteggere le nascenti democrazie dell'Europa occidentale dalle loro perversioni nazionalistiche. La costruzione di un mercato integrato e di organismi sovranazionali, il consolidamento di pratiche giuridiche basate sul rispetto dei diritti individuali, hanno contribuito a trasformare lo stato nazionale europeo in uno stato membro dell’Ue. Stato membro significa che la politica europea non è più una componente della politica estera, bensì si intreccia con la politica interna. Per ottenere i fondi del PNRR, quest'ultimo è stato definito dallo stato membro insieme alla Commissione europea, quindi approvato dal Consiglio dei ministri nazionali, infine implementato sotto la vigilanza della Commissione europea. Dov'è il confine tra Bruxelles e Roma (o qualsiasi altra capitale)? Lo stesso vale per gli aiuti all’Ucraina. Non si può assumere una posizione unilaterale, se non si vuole finire isolati come l’Ungheria. L’Ue non è una caserma, ma un sistema in cui contano gli argomenti e le alleanze con cui si sostengono le proprie proposte (come sta facendo il governo Draghi per fare introdurre un tetto al prezzo del gas russo). Quale Ue i nostri antieuropei rifiutano? Quella aperta che difende la democrazia in Ucraina o quella chiusa che calpesta i principi dello stato di diritto in Polonia?
Insomma, non c’è una politica estera italiana al di fuori dell’Alleanza atlantica e dell’Ue. Tuttavia, sia l’una che l’altra “sono ciò che i membri ne fanno”. Gli antiamericani e gli antieuropei si oppongono ad un mondo di fantasmi. Lasciamo solamente i bambini giocare con questi ultimi.
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