Inflazione e disoccupati

Politica monetaria, divaricazione tra Ue e Stati Uniti

di Marcello Messori

(Aleandro Biagianti / AGF)

3' di lettura

La scorsa settimana è stata segnata da importanti decisioni di politica monetaria. Negli Usa, a fronte di inflazione crescente e bassi tassi di disoccupazione, la Fed ha imboccato la strada della restrizione aperta a novembre. Essa ha accelerato il ritmo di riduzione degli acquisti straordinari di titoli che dovrebbero azzerarsi entro pochi mesi e ha suggerito che, l’anno prossimo, vi saranno tre aumenti nei tassi di interesse di policy. Nell’euro area (Ea), la Bce ha preannunciato che il Programma di emergenza per l’acquisto di titoli (Pepp) rallenterà e a fine marzo 2022 non sarà rinnovato, lasciando intendere che la stessa sorte sarà riservata al programma di rifinanziamento del settore bancario (T-Ltro3). Queste scelte sono state mitigate da tre fattori: è stato potenziato per sei mesi il programma di acquisto di titoli (App); è stato prolungato di un anno il reinvestimento dei ricavi e dei rendimenti dei titoli in scadenza relativi al Pepp; è stato ricordato che una parte dei rifinanziamenti in essere, dovuti al T-Ltro3, scadrà solo a fine 2024.

La reazione è stata univoca: la divaricazione fra le politiche monetarie di Fed e Bce consente ai governi europei più fragili di “dormire sonni tranquilli”. Eppure una lettura attenta dei dati racconta una storia diversa: le politiche economiche delle due aree si stanno divaricando, nel senso che la combinazione fra le scelte monetarie e fiscali (policy mix) promette di sostenere la crescita più negli Stati Uniti che nell’Ea.

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L’amministrazione Biden sta effettuando ingenti spese pubbliche per il sostegno dei redditi più bassi e per l’ammodernamento delle infrastrutture. Se tali processi non saranno vanificati dai risultati delle elezioni di mid-term, determineranno aumenti dell’offerta e della domanda aggregata. Ciò rende necessarie restrizioni di politica monetaria che evitino il surriscaldamento dell’economia ed elevati tassi di inflazione. La Fed ha calibrato i suoi interventi in modo da non sorprendere gli attori di mercato e da raggiungere lo scopo.

Anche nell’Ea sono stati lanciati programmi espansivi grazie alla nuova politica accentrata di spesa (Ngeu). Tuttavia, il policy mix europeo si differenzia da quello statunitense per almeno tre ragioni.

1 Incentrandosi sulla transizione ’verde’ e digitale, Ngeu impone severe ristrutturazioni all’apparato produttivo. Se avranno successo, questi cambiamenti irrobustiranno il potenziale di crescita nel medio-lungo periodo; tuttavia, per non avere impatti negativi di breve periodo, essi andrebbero accompagnati da politiche monetarie molto espansive. 2 Il Pepp ha permesso politiche fiscali nazionali ultra-espansive anche a Paesi con alto debito pubblico (come l’Italia); pertanto, se si vuole evitare che gli aggiustamenti nazionali di spesa coincidano con il picco delle ristrutturazioni produttive, sarebbe essenziale compensare la fine del Pepp con adeguati e persistenti rafforzamenti dell’App.

3 Le recenti decisioni della Bce non soddisfano le condizioni poste dai due precedenti punti: la chiusura del Pepp a marzo 2022 implicherà l’annullamento della quota più consistente degli acquisti mensili di titoli pubblici effettuati dall’eurosistema delle banche centrali da marzo 2020; nei sei mesi successivi, tale quota sarà compensata per circa i 2/3 dalla somma fra gli acquisti aggiuntivi dell’App e il reinvestimento dei ricavi e dei rendimenti dei titoli in scadenza del Pepp e, da ottobre 2022 a dicembre 2024, per poco più del 20%. Si tratta di numeri simili a quelli annunciati dalla Fed ai primi di novembre, ma che generano un policy mix meno favorevole alla crescita economica di breve-medio periodo.

La conclusione è che le recenti mosse della Bce confermano il giudizio che si è trattato di decisioni graduali. La minaccia di un’inflazione ricorrente troppo elevata e il rischio che le restrizioni della Fed portino a innalzamenti nei tassi di interesse di mercato anche nell’Ea hanno spinto la Bce a moderare la propria politica monetaria senza cancellarne l’intonazione espansiva. Con riferimento invece al policy mix europeo, il giudizio deve cambiare: le recenti scelte della Bce, che sembrano ricalcare le scelte della Fed con un ritardo di un paio di trimestri, rischiano di rendere ancora più difficile la realizzazione di Ngeu e l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile per l’economia europea.

Ne derivano tre implicazioni. I) La stabilità e la convergenza della Ue e dell’Ea risultano ancora più dipendenti dalla capacità dei singoli Stati di attuare i propri Piani nazionali così da assicurare il successo di Ngeu; II) diventa ancora più importante che la discussione sulle nuove regole fiscali europee sfoci in proposte ragionevoli che armonizzino gli aggiustamenti dei bilanci pubblici nazionali troppo squilibrati e le politiche nazionali di spesa compatibili con la crescita economica; III) è necessario accantonare l’idea che la politica monetaria della Bce e le scelte fiscali della Ue possano essere indipendenti: la definizione di un appropriato policy mix è ormai uno strumento irrinunciabile.

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