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Pomodoro da industria: al Sud scontro per il prezzo tra trasformatori e produttori

Anicav chiede un tavolo di filiera: immotivato il divario così ampio rispetto a quanto stabilito per il Nord

di Silvia Marzialetti

Pomodoro da industria: l’accordo per i prezzo della materia prima al Sud non è ancora stato trovato

2' di lettura

È braccio di ferro tra industria e parte agricola al Centro-Sud per il pomodoro da industria. Nonostante le temperature scandiscano una estate già alle porte e sebbene il Nord abbia chiuso da settimane, nell’areale del Meridione dove si concentra il 50% della produzione in termini di pomodoro trasformato, l’accordo sul prezzo del prodotto che, una volta lavorato, sarà inscatolato e messo in commercio, è ancora lontano.

La richiesta dei produttori è di 140 euro a tonnellata, ma i trasformatori non sembrano disposti ad andare oltre i 120 euro, definendo speculative tali cifre. Al Nord, dopo una trattativa estenuante, l’accordo si è chiuso circa un mese fa a 108, 50 euro.
«La parte agricola ha messo sul tavolo una richiesta di aumento del tutto ingiustificata, facendo leva sui rincari dei costi di produzione, che non hanno alcun diverso impatto al Sud rispetto al Nord», commenta Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav (Conserve alimentari). La storia di questi accordi nel tempo è sempre stata caratterizzata dal riconoscimento di un differenziale di prezzo a favore del Sud, in virtù del peso rappresentato da alcuni costi aggiuntivi oggettivi come gap infrastrutturale, o difficoltà nell’approvvigionamento idrico: la forbice è stata di 3 euro nel 2015, è salita a 13 euro nel 2021 (92,50 euro a ettaro al Nord, contro i 105 del Sud), ma la richiesta arrivata sul tavolo quest’anno da parte delle Organizzazioni professionali (31,50 euro in più) per Anicav è irricevibile.
«Volendo tralasciare l'analisi dei costi di produzione e ragionando esclusivamente sui ricavi per ettaro che considerano resa media e prezzo di riferimento gli unici dati certi ed oggettivi, diventa ancor più complesso comprendere le richieste di parte agricola –prosegue De Angelis–. La sensazione è che oltre ai rincari che hanno colpito tutti indistintamente, si vogliano scaricare sull’industria e sui consumatori le inefficienze del comparto».

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Così chiusa la parte normativa del contratto, con l’introduzione di clausole come il tentativo di conciliazione obbligatorio e l’istituzione di una commissione di vigilanza, il presidente di Anicav, Marco Serafini, ha chiamato in causa il ministero delle Politiche agricole. La richiesta è di riconvocare al più presto il tavolo di filiera istituito sul finire dello scorso anno e di procedere alla messa a punto di uno studio sui costi di produzione, per poter pervenire a dati oggettivi su cui basare la contrattazione. Secondo Anicav è a rischio un intero comparto.

La nuova stagione, peraltro, non è partita con i migliori auspici: Amitom (l'associazione che riunisce le organizzazioni professionali dei trasfromatori nell'area mediterranea) stima la produzione nazionale in calo a 5,4 milioni di tonnellate, contro i 6 milioni del 2021, che hanno portato il nostro Paese in seconda posizione a livello mondiale, dopo gli Usa. Nel distretto produttivo del Nord Italia la previsione è di 2,75 milioni di tonnellate e si prefigura una perdita produttiva del 10%. Nel Centro Sud si parla di 2,65 milioni di tonnellate (-10% anche qui).


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