Ponte Morandi, il reparto mai nato per controllare le grandi opere
Emanuele Renzi, dirigente dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali, ha ricordato la circolare del ’67 mai attuata
di R.I.T.
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Una norma che risale a 56 anni fa, che non è mai stata attuata. È quanto emerge da una delle deposizioni durante il processo per il crollo del ponte Morandi di Genova. A sollevare il caso sono state le parole di Emanuele Renzi, dirigente di Ansfisa, l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali. «Non è stato costituito un apposito reparto presso il Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici con il compito di seguire il comportamento nel tempo dei grandi manufatti» ha detto Renzi.
Il riferimento è ad una circolare del ministero dei Lavori pubblici risalente al 1967. Oltre a Renzi è stato sentito anche Massimo Sessa, presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Sono stati sentiti in merito alla vigilanza da parte del Consiglio rispetto a grandi opere come appunto il ponte di Genova crollato il 14 agosto del 2018 con 43 vittime.
La circolare del ’67 dispone «per tutti i grandi manufatti, opere d’arte importanti, ponti e viadotti di rilevante altezza, strutture di notevole luce libera o comunque fuori del normale per speciali circostanze di luogo e di impiego, uno speciale controllo a cura del ministero dei Lavori Pubblici». Inoltre, per le opere già eseguite e per quelle «da lungo tempo in esercizio verrà costituito un apposito reparto presso il Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici con il compito di seguire il comportamento nel tempo di tali grandi manufatti».
Indicazioni rimaste lettera morta, emerse durante il processo per la tragedia di quasi cinque anni fa. Dopo il crollo del ponte Morandi, come hanno ricordato contestualmente i testimoni, sono state elaborate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici le nuove Linee guida Guida sui ponti esistenti, un documento che interviene sulla frequenza delle ispezioni, sulla programmazione degli interventi e sulle eventuali limitazioni del traffico e sulla prevenzione dei rischi.
Nel mese di luglio, dal 17 al 19, il processo per il crollo del ponte Morandi si trasferirà a Roma su decisione del presidente del collegio Paolo Lepri per poter sentire come testimone l’ingegnere Francesco Pisani, allievo di Riccardo Morandi e incaricato, nel 2010 da Aspi di progettare i lavori alla pila 9, quella poi crollata. Il progetto in realtà non fu mai realizzato. La trasferta è risultata necessaria per le condizioni di salute e l’età avanzata di Pisani. Le udienze verranno celebrate nell’aula bunker di Rebibbia.
Durante l’udienza sono stati sentiti i membri del Comitato tecnico amministrativo del Provveditorato che l’1 febbraio 2018 approvò il progetto di retrofitting, il rinforzo delle pile 9 e dieci del ponte. Secondo la procura il comitato, nel suo parere favorevole, si sarebbe limitato a fare una sorta di copia-incolla senza preoccuparsi dello stato effettivo in cui si trovava il ponte Morandi.
Secondo l’avvocato Fabio Viglione, difensore del provveditore alla opere pubbliche Roberto Ferrazza, «all’esito dell’udienza odierna sono emerse alcune circostanze che ulteriormente dimostrano la correttezza dell’agire dei componenti del comitato tecnico amministrativo Il progetto di retrofitting sulla pila 9 non avrebbe dovuto essere inviato a Roma al Consiglio Superiore dei lavori pubblici poiché non aveva le caratteristiche di particolare complessità anche in quanto si trattava di una replica del progetto realizzato negli anni ’90 sulla pila 11».
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