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Portovesme-Glencore, il caro energia blocca lo zinco sardo

Con l’avvio della procedura che porterà alla fermata progressiva dell’impianto scatterà anche la cassa integrazione a rotazione per 400 dipendenti

di Davide Madeddu

3' di lettura

Stop alla produzione di zinco. Il prezzo dell’energia continua a salire e la Portovesme srl, controllata dalla Glencore, blocca l’impianto più energivoro presente nello stabilimento sardo, dove produce in media 150 mila tonnellate l’anno dalla lavorazione della blenda, riuscendo a soddisfare poco meno della metà delle 330 mila tonnellate di prodotto richieste dal mercato nazionale.

Una fermata annunciata

Una fermata annunciata all’inizio di dicembre e operativa da questa mattina (17 dicembre). Con l’avvio della procedura che porterà alla fermata progressiva dell’impianto scatterà anche la cassa integrazione a rotazione per 400 dipendenti.

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Una situazione difficile

Non nasconde la preoccupazione l'amministratore delegato Davide Garofalo: «La situazione non sta andando bene. Speravamo che questa situazione iniziasse a scemare, invece questo andamento ci sta preoccupando». Ad accrescere la preoccupazione del gruppo dirigente anche lo scenario internazionale: «È di ieri l’annuncio del nostro concorrente principale che ha deciso di chiudere lo stabilimento che ha in Francia. E dimostra come il problema sia generale – aggiunge –. Purtroppo anche i vari suggerimenti che stanno venendo da Confindustria per calmierare i prezzi non stanno dando l’effetto sperato».

Energia alle stelle

«Purtroppo il costo dell’energia continua a salire – commenta Enrico Collu, responsabile del personale –, basti pensare che questi giorni viaggia intorno ai 300 euro a megawatt/or». Un importo troppo elevato per l’azienda che nel 2019 pagava l’energia a 45-50 euro a megawatt/ora. Quindi la decisione di procedere con lo stop che, come argomenta il manager, «sarà progressivo dato che stiamo parlando di un impianto complesso. Per turno resteranno a casa circa 170 persone».

Stop al forno e via alla Cig

Primo passo della riduzione, lo spegnimento del forno trattamento minerali. «Naturalmente – continua – considerate le peculiarità della struttura, e il fatto che si tratta di un forno a letto fluido particolare, per il raffreddamento totale ci vorranno circa dieci giorni». Contemporaneamente parte la cig per i lavoratori impegnati nel ciclo che si ferma. «Purtroppo è tutto collegato – aggiunge – e quindi si andrà avanti in questo modo».

Non tutto si ferma

Resta operativo il resto della fabbrica che, oltre a 150 mila tonnellate l’anno di zinco, produce 65 mila tonnellate di piombo (da cui si estrae oro e argento), 3.000 tonnellate di rame, 300 di argento e una d’oro, oltre 200 mila tonnellate di acido solforico. Una situazione che crea apprensione anche tra i lavoratori giacché attorno allo stabilimento, tra diretti e appalti, ruotano circa 1.300 persone.

L’appello dei sindacati

«La situazione è preoccupante – commenta Nino D’Orso, segreteria Femca regionale – perché c’è tutto un sistema che si sta fermando. È necessario un intervento istituzionale per far si che ci sia una calmierazione delle tariffe, che non riguarda solo l’industria energivora, ed eviti che un comparto come questo, strategico per l’Italia, si fermi».

Difficile ma non impossibile uscirne

Guarda alla “strategicità” della fabbrica sarda e auspica un intervento istituzionale anche Francesco Garau, segretario regionale della Filctem: «Purtroppo la Portovesme srl è entrata in un vortice da cui è difficile ma non impossibile uscire – dice –.Il tema del caro energia sconta posizioni politiche estremiste interne se parliamo dell’utilizzo delle nostre risorse energetiche per cercare di calmierare i prezzi». Non è tutto. «In sede Europea scontiamo difficoltà e dinamiche di paesi che, invece, godono di materie prime e politiche energetiche che sono avanti decenti rispetto all’Italia – conclude –. Purtroppo noi non avendo dimostrato lungimiranza politica subiamo le decisioni dei paesi nord europei che fanno muro per difendere i loro interessi».

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