Milano, giorno 2

Prada: la bellezza in pochi capi. Emporio Armani dà il ritmo

La settimana della moda prosegue con l’eleganza assoluta e artistica di Max Mara e Roberto Cavalli che con Fausto Puglisi torna sul sexy a ogni costo. Travolge l’energia di Sunnei

di Angelo Flaccavento

Prada AI 22-23

3' di lettura

Dovevamo rallentare, e invece si corre più di prima. La natura umana è decisamente poco incline al cambiamento, ma meglio gettarla in burla che in amatemi moraleggianti. Nella seconda giornata di sfilate milanesi, sono Simone Rizzo e Loris Messina, alias Sunnei, a rubare la scena con uno show pungente, che altro non è se non una parodia delle “sprintate”, corse eccessive, da uno show all’altro: un classico da fashion week che lo iato digitale ha sospeso per due anni, e che adesso ritorna alla grande. La moda di Sunnei sembra un gioco Playmobil: colori primari, volumi in addizione, spirito ludico. Addosso ai modelli che corrono a perdifiato, si carica di una energia travolgente, in un momento di sospensione che coinvolge regalando un sorriso.

Prada, il “carpe diem” della bellezza

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E dove è diretto cotanto accelerare? Alla sfilata dopo, che è Prada e non si può mancare. Qui, a causa della presenza di Kim Kardashian tra gli invitati, la calca dei curiosi è esagerata, ululante. I tempi cambiano: una volta a queste altezze dell’empireo modaiolo difficilmente ci si sarebbe impastati con il nazional popolare, seppur globale, e invece adesso lo si fa e la decisione nemmeno appare incongrua. La sfilata è una riflessione sulla idea di bello - chimera mobile per afferrare la quale si muove l’intero indotto fashion - condensata attraverso una etimologia di pochi capi - la giacca maschile, il cappotto, l’abito matronale, la gonna, la canotta - che fanno parte di un repertorio e di un immaginario condivisi. Miuccia Prada e Raf Simons, direttori creativi, offrono sollievo alle incertezze del momento attingendo alla storia - alla stessa storia di Prada, invero, con effetti deja-vu - per ricontestualizzare il passato nel presente. Se l’operazione non è originale, il risultato è comunque potente e le donne Prada emanano un erotismo algido e bollente.

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Emporio Armani, il fascino del personale fra grigi e colori

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Da Emporio Armani l’azione si fa ritmica. Su una passerella optical a scacchi bianconeri, la sfilata è un dialogo co-ed tra la collezione uomo, tutta grigi e disegnature macro, e la collezione donna, tutta colore e astrazioni vivaci. Da una parte sono silhouette decise, con i grandi cappotti e le giacche vestaglia dal sapore militare, dall’altro piccole giacche con mostrine, e abiti sovente corti. L’alternanza intrattiene, ma la disparità tra le due prove è chiara, ed è l’uomo a vincere, più teso e metropolitano laddove la donna appare a volte quasi leziosa, aggettivo anatema per Armani.

Cavalli, eccentricità per tornare a divertirsi

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La sessualità soverchia del sexy ad ogni costo è così anacronistica da non esserlo più, e nessuno la fa meglio di Fausto Puglisi, che da Roberto Cavalli esplora sfumature di sfrontatezza che vanno dal quasi perbene di broccati e tartan, al nero e i maculati. La collezione, però, deraglia in troppe direzioni, e la coerenza del messaggio si perde.

Da Blumarine, Nicola Brognano esplora una nota più voluttuosa e meno acidula o frou frou della seduzione, ma sempre di remix dell’archivio si tratta. Daniel Del Core asciuga l’enunciato senza rinunciare alle ispirazioni naturali - le falene, in questo caso - e segna un passo avanti.

Max Mara, un inverno fiabesco e modernista

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La donna di Max Mara è di una eleganza assoluta nel suo pragmatismo che le fa scegliere cappotti cammello, giacche over e gonne lunghissime. Si copre molto, non si trucca affatto e, vogliono le note di accompagnamento, si ispira al modernismo dell’artista dadaista Sophie Taeuber-Arp. Ma questo è forse solo borbottio da storytelling, lo stesso di cui si burla MM6 Maison Margiela, evitando i racconti astrusi per proporre vestiti e basta, ossia bel materiale per la performance quotidiana dell’abbigliarsi.

Nel mentre, a Milano si affaccia sulla scena una nuova guardia di creativi, di età e inclinazioni differenti: Andrea Adamo, la cui glorificazione del corpo eccita, ma mostra un troppo chiaro debito con Alaïa; AC9, il bel progetto di Alfredo Cortese i cui taglienti contrasti di languido e abrasivo sono ancora evidentemente vicini all’idioma del suo mentore, Alessandro Dell’Acqua; Marco Rambaldi, così preso dal seguire l’inclusività di maniera del momento da dimenticarsi di fare i vestiti. Il suo show diverte e fa pensare, ma sembra realizzato con pezzi pescati al mercato della Montagnola, e per questo appare pigro.

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