Caso Tramontano, perché la premeditazione del delitto non è facile da dimostrare
Dopo l’omicidio di Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, ha fatto discutere la decisione del gip di escludere la premeditazione. Ecco quindi un approfondimento sugli elementi necessari per stabilire la premeditazione di un delitto
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
3' di lettura
Nell’ordinamento, la premeditazione è una circostanza aggravante dei soli “fatti di sangue”, prevista tra l’altro dall’art. 577, comma 1 n. 3 del codice penale, che implica una modifica di pena per delitto di omicidio da “non meno di anni ventuno” all’ergastolo. Analogo effetto hanno altre aggravanti contenute nella stessa disposizione, ad esempio l’avere commesso il fatto contro genitori, figli, coniugi, anche separati, o persona con cui si ha una relazione sentimentale, nonché l’avere agito per motivi abietti o futili, o avere adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone. Solo alcune particolari attenuanti, poi, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’avere commesso il fatto nei confronti di una persona con cui vi è un legame e ciò determina una più difficile diminuzione della pena in questi casi.
Tornando, in particolare alla premeditazione, il legislatore non ne fornisce una definizione. Secondo il vocabolario Treccani, premeditare significa “maturare dentro di sé il proposito di compiere un’azione criminosa, illecita, non buona o comunque ritenuta punibile, fissandone già in precedenza le modalità di attuazione”.
Necessari 2 elementi compresenti: cronologico e ideologico
La Cassazione ha precisato questa nozione. In particolare, ormai si è creato un certo consenso sulla necessaria compresenza di due elementi distinti. Da un lato quello cronologico: deve esistere un certo qual intervallo di tempo tra la decisione e la commissione del fatto, sufficiente in particolare a far riflettere il reo sulla determinazione e consentirgli, in astratto, il recesso dal proposito criminoso, recesso che poi non si verifica perché i motivi che conducono a delinquere hanno il sopravvento. Dall’altro quello ideologico: che consiste nel perdurare nell’animo del colpevole, senza soluzione di continuità, di una determinazione criminosa ferma e irrevocabile, chiusa a ogni pentimento e quindi modifica circa la decisione illecita assunta. Sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione per stabilire che questi due elementi debbono essere presenti entrambi per l’applicazione dell’aggravante.
La premeditazione, che porta la pena all’ergastolo, non va confusa con la preordinazione, ovvero la mera preparazione dei mezzi per compiere il delitto. Quest’ultima attiene alla fase esecutiva del reato e dimostra soltanto la volontà di agire ma non quell’intensa riflessione che rende rimproverabile in modo tanto grave il reato.
Il criterio cronologico, per la difficoltà di fornire parametri precisi, ha dato luogo a molte discussioni. È pressoché impossibile fornire una quantificazione netta di quale sia l’arco temporale che deve trascorrere. E ciò in quanto per la sussistenza della premeditazione è necessario che, come già accennato, l’intervallo fra decisione e azione sia stato tale da poter consentire al soggetto di riflettere sul proprio gesto e cambiare idea. Spetta al giudice, quindi, caso per caso, in relazione alle singole vicende, valutare i presupposti per l’applicazione, in particolare avendo riguardo ai mezzi impiegati e alle modalità della condotta.
E così tentare una casistica è davvero difficilissimo, se non si conoscono le peculiarità dei fatti sottostanti. È stata esclusa la configurabilità della premeditazione in una vicenda in cui il proposito omicidiario è stato con certezza collocato un’ora prima del delitto; in altri frangenti è stato ritenuto sufficiente il tempo di un’ora e mezza o un intervallo non inferiore a un’ora, o ancora di tre ore; oppure non è stato creduto un indice sicuro un intervallo di una notte tra preparazione ed esecuzione.
Trattandosi di una circostanza che trae i propri presupposti in un atteggiamento psicologico è ovviamente di difficile dimostrazione, poiché è quasi impossibile verificare con certezza cosa accade in interiore homine. La prova, che deve essere raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, non potrà perciò che basarsi su elementi concreti che lascino intendere l’esistenza dei presupposti appena sopra indicati. Questa è la ragione per cui il giudice deve analizzare ogni particolare del fatto che possa fargli intendere quale sia stato l’atteggiamento psicologico che ha guidato il colpevole, richiamandolo nella motivazione dei propri provvedimenti, che siano cautelari o di merito.
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