Stime Governo e Bankitalia

Prezzi e recessione, quanto potrebbe pesare sull’economia lo stop al gas russo

Lo scenario più negativo di Bankitalia e quello meno pessimista del Governo. Prima nave-rigassificatore operativa solo nel 2023

di Fabio Carducci

(EPA)

3' di lettura

Tutti più poveri per due anni, rispetto all’anno scorso, per Bankitalia. Ripresa economica ridotta a un quinto di quella attesa, per il governo. L’icastica quanto discussa frase del premier Mario Draghi su “pace o condizionatori” ha subito evocato, in caso di uno stop per ora tutto teorico alle importazioni di gas russo (il 38% del nostro fabbisogno), scenari da austerity anni ’70. Una parola di mezzo secolo fa riesumata dai media, con impennata di ricerche su Google. Ma prima dell’abbassamento dei termosifoni o dei condizionatori - che per ora esiste solo negli emendamenti al decreto bollette presentati in Parlamento - a preoccupare è l’impatto generale di uno stop al gas russo sull’economia, stimato in questi giorni sia dal Documento di economia e finanza del governo, sia dalle previsioni/scenari del bollettino della Banca d’Italia. Nella conferenza stampa del 6 aprile Draghi ha sottolineato: «L'embargo del gas non è ancora, e non so se sarà mai, sul tavolo». Tra i più fermi sostenitori dell’opzione zero, in Italia, il segretario del Pd Enrico Letta. Sul fronte opposto la leader Fdi, Giorgia Meloni: «Questo non è un sacrificio, è un suicidio». Strada totalmente in salita anche a Bruxelles, dove finora non è stato trovato l’accordo neppure sul petrolio.

Lo spettro della recessione

È la Banca d’Italia a delineare gli scenari più pessimisti, nel suo ultimo bollettino economico. Se lo scenario “intermedio” di una guerra prolungata ma senza rinunciare al gas di Mosca taglierebbe la crescita nel 2022 al 2%, quello più estremo, smettendo di comprare il gas che finanzia la guerra di Putin, farebbe chiudere l’anno con il Pil in calo dello 0,5% per due anni. Lo scenario più severo prende in considerazione un quadro in cui il conflitto Russia-Ucraina si prolunghi e si aggravi, con una minore disponibilità di gas per l'Italia «a seguito di un arresto delle forniture dalla Russia della durata di un anno a partire da maggio». La sospensione, in parte compensata mediante il ricorso ad altri fornitori, si tradurrebbe in una riduzione di circa il 10% della produzione di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata e in «strozzature per le attività manifatturiere ad alta intensità energetica». Con un effetto a cascata su produzione, occupazione, redditi, consumi pubblici e privati, investimenti. Vede un po’ meno nero il governo, che con il Def, anche in caso di scenario peggiore di interruzione del gas russo senza che si riesca a sostituirlo con quello di altri produttori, prevede un mini incremento del Pil: +0,6%, che è comunque molto sotto il 3,1% del nuovo scenario base governativo (crescita programmatica).

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L’impatto del caro energia, rischio inflazione all’8%

Il problema è che, a causa dell’elevata dipendenza energetica europea (e ancor più italiana, con il gas russo che copre il 38% del fabbisogno) già soltanto i timori di interruzioni delle importazionia dalla Russia hanno fatto volare i prezzi a +1284,7% rispetto al pre pandemia per il gas, e a +106,9 per il petrolio, spingendo in alto l’inflazione, a danno dei consumatori, e i costi per le imprese, con ripercussioni su margini e investimenti (ultimo rapporto del Centro studi Confindustria). Ma nello scenario più severo tra quelli delineati da Bankitalia, un addio immediato al gas di Mosca accelererebbe l’inflazione all’8% (2,3% nel 2023), facendo tornare anche qui l’Italia indietro nel tempo, alla metà degli anni ’80.

Il gas da Usa e Algeria

Il bollettino di Bankitalia sottolinea comunque che l’eventuale interruzione dei flussi di gas naturale dalla Russia potrebbe essere compensata «per circa due quinti entro la fine del 2022, senza intaccare le riserve nazionali di metano, ricorrendo all’incremento dell’importazione di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti e dal Qatar; al maggiore ricorso ad altri fornitori, come l’Algeria o all’aumento dell’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali». Estrazione che però risulta essere una corsa a ostacoli, anche a causa del Pitesai,il piano per la transizione energetica sostenibile avviato dal primo governo Conte.

Prima nave-rigassificatore operativa nel 2023

Certamente positivo, ma forse non sufficiente a risollevare il morale in questo contesto di emergenza, l’aggiornamento sull’operazione “rigassificatore galleggiante” che giunge dal ministro Roberto Cingolani: «Stiamo chiudendo attraverso Snam: il primo semestre del 2023 la prima nave sarà operativa» per la rigassificazione, ha detto intervenendo a SkyTg24 in diretta da Bari. Punto di forza la flessibilità: «La nave - ha detto il ministro - la ormeggi dove c’è un tubo del gas, e ce ne sono diversi in Italia. Si compra o si affitta per 400-500 milioni, dà 5 mld di metri cubi l’anno e quando la transizione sarà andata avanti, la mandi via».

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