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Prezzi record per il Pecorino Romano Dop, ma preoccupa il balzo dei costi

Fatturato complessivo verso i 600 milioni contro i 500 dello scorso anno

di Davide Madeddu

2' di lettura

La produzione si è solo leggermente ridotta, ma il valore è cresciuto molto. Vola oltre i 13 euro al chilo il prezzo del Pecorino Romano Dop. Ossia il formaggio italiano prodotto per il 95% in Sardegna e per i restante cinque tra Lazio e Toscana.

La crescita del prezzo del formaggio che ha il suo principale mercato di esportazione negli Stati Uniti con una percentuale del 52%, si è iniziata a registrare nel novembre del 2020 per poi avere un’impennata nel dicembre dello scorso anno, quando le quotazioni hanno raggiunto i 9,38 euro al chilo. Una cifra che non si registrava dal 2015. Poi la crescita più importante quest’anno, quando il costo al chilo ha registrato valori a due cifre e oggi viaggia tra i 12,8 euro ai 13,5 euro al chilo. Crescita che ha trascinato anche il fatturato complessivo passato dai 500 milioni dello scorso anno ai 600 milioni di questo. Punto di forza di un settore che funziona grazie all’opera di 12 mila aziende zootecniche, 25 mila addetti e quaranta caseifici.

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Per Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del pecorino romano Dop è tutto merito «di un combinato disposto di diversi fattori». Ossia una produzione limitata rispetto all’anno precedente, circa il 3,1% in meno, e «una migliorata qualità» cui si sono aggiunge «attività promozionali e una consuetudine, nata nel periodo della pandemia, per l’utilizzo del prodotto in alcuni piatti della tradizione come la carbonara o la cacio e pepe».

Quanto alla prospettiva, il presidente sottolinea che «se il livello dei consumi si manterrà a questo livello la produzione 2022 non sarà sufficiente ad arrivare a maggio 2023 quando verrà commercializzato il formaggio che inizierà ad essere prodotto da ottobre e potremmo anche assistere a una rottura di stock». E benché il momento sia favorevole per la commercializzazione, cominciano a farsi sentire gli alti costi, soprattutto sui produttori.

«Il valore del prezzo finale del formaggio è alto, il momento favorevole, ma tutti i costi di produzione, dall’allevamento alla trasformazione, sono in aumento e questo ci preoccupa per il futuro», osserva Maoddi, che ad agosto aveva lanciato l’allarme sullo spopolamento di campi. Non solo, tra le difficoltà anche l’aumento del costi imballaggi, quello dei concimi e l’energia. Altro elemento con cui si devono fare i conti, la carenza di manodopera nelle campagne dove operano i pastori che conferiscono il latte di pecora che quest’anno viene pagato con i conguagli tra 1,30 euro al litro e punte dell’1,45 euro a litro. Situazione che aveva spinto il presidente del Consorzio a sollecitare soluzioni strutturali.

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