Zangrillo, primario del San Raffaele: «Siamo sotto pressione ma non è uno scenario di guerra»
Per Alberto Zangrillo, primario di terapia intensiva cardiovascolare e generale dell’ospedale San Raffaele di Milano, il sistema sanitario lombardo sta reggendo. Ma chiede a tutti: state a casa
di Sara Deganello
4' di lettura
Il professor Alberto Zangrillo, primario di terapia intensiva cardiovascolare e generale dell’ospedale San Raffaele di Milano, in questo momento di confusione, vuole fare chiarezza: «Sulla base di un documento della Società italiana di anestesia e rianimazione che andava a dire che c’era il rischio di non poter assicurare tutte le cure necessarie, anche dal punto di vista qualitativo, al paziente che ne avesse avuto bisogno, c’è stato chi ha interpretato – io credo solo a parole, non nei fatti – andando in giro a dire che gli anestesisti e i rianimatori fanno delle scelte su chi deve essere curato e fino a quando.
L’opportunità di applicare le terapie
Premesso che io non ho condiviso, sono contrario e non mi identifico nel documento promulgato dalla Società italiana di anestesia e rianimazione, pur essendo professore ordinario della disciplina, io dico che la scelta della tipologia, dell’intensità e della durata della cura deve essere sempre una scelta ponderata che si basa sull’osservazione del malato che ha caratteristiche che sono quelle dell’età, del tipo e gravità della malattia, e dell’eventuale concomitanza di altre patologie. Sulla base di questa constatazione ogni anestesista e rianimatore del mondo fa delle scelte che non sono quelle dell’interruzione della cura ma sono quelle relative all’opportunità di applicare delle terapie che se molto articolate, se molto avanzate tecnologicamente in determinati malati comunque non servono.
Se io ho un malato estremamente grave, portatore di una serie di co-patologie e che in più è anche un grande anziano, non vado ad applicare delle tecnologie di trattamento che sarebbero ridondanti e inefficaci, perché devo essere in grado di comprendere che quel malato ha una prognosi negativa.
Il ragazzo di 18 anni intubato
Altro è invece dedicarsi alla cura dei malati che si presentano ai nostri occhi nelle stesse condizioni, in cui il fattore anagrafico non è assolutamente una discriminante. Al San Raffaele noi trattiamo il ragazzo di 18 anni che ho intubato io ieri mattina personalmente esattamente come l’uomo o la donna di settant’anni che ha la stessa patologia. È probabile che l’uomo o la donna di settant’anni facciano più fatica a guarire ed è proprio per questo che su di loro siamo tutti chiamati a esprimere il massimo della qualità della cura, perché sono comunque vite umane che dobbiamo salvaguardare.
Tutta la mia équipe si comporta in questo modo, e non si può dire che non sia un’équipe sotto pressione: ho anch’io persone che non vanno a casa da giorni, che mi chiedono di non interrompere il turno di lavoro.
Se qualcuno su alcune testate dice “siamo come in guerra, siamo obbligati a decidere se ti curo o se non ti curo”, e se non lo spiega come ho cercato di fare io – che comunque non vuol dire: non ti curo – probabilmente questa persona ha sbagliato mestiere».
I posti letto in terapia intensiva
Il professor Zangrillo snocciola un po’ di numeri sui posti letto della terapia intensiva al San Raffaele: «Da 9 siamo arrivati a 20 e sono tutti occupati da malati di Covid-19 ventilati. In più abbiamo identificato aree per la ventilazione meccanica per altri 4 pazienti. Ci si è attrezzati per acquistare ventilatori e tutto il materiale necessario per postazioni di terapia intensiva. Tutto questo perché sono state sospese le attività chirurgiche convenzionali. Una pratica adottata da tutti gli ospedali. In più abbiamo liberato interi piani liberando spazio per i malati di Covid-19 che non hanno complicanze respiratorie o sono lievi: erano 12 i letti il primo giorno, raddoppiati in ventiquattr’ore e arriveranno a 150 a regime nel giro di uno o due giorni».
I materiali stanno arrivando
Zangrillo assicura che i materiali come i presidi di protezione per gli operatori sono presenti e la Regione si sta adoperando perché siano garantiti fino a quando ce ne sarà bisogno. Anche per quanto riguarda altri apparecchi, i ventilatori per esempio, tutte le aziende sono coinvolte e stanno rispondendo: «Proprio perché ci siamo inventati una terapia intensiva in tempo di record, questa mattina ci servivano dei monitor per il monitoraggio cardiovascolare. Ci sono arrivati in tre ore».
C’è un rallentamento nel lodigiano
Zangrillo non nasconde la gravità del momento: «La situazione è seria, ma ciò non vuol dire che sia critica o non gestita. Ho sempre cercato, e non mi sono pentito, di avere mantenuto un atteggiamento di ottimismo. Sono e resto certo che se questa, chiamiamola pure così, tragedia si fosse abbattuta in un’altra regione italiana probabilmente non saremmo a questo punto. Il sistema sanitario lombardo sta reggendo. L’epicentro è in Lombardia e ci sono zone particolarmente colpite. Da una, che è quella del lodigiano, stiamo ricavando notizie che c’è un rallentamento».
L’appello: se volete aiutarci state a casa
Alberto Zangrillo su un punto è molto fermo: «Per come ci stiamo muovendo tutti ce la faremo. Ma ribadisco: se volete aiutarci, se volete fare qualcosa di utile non uscite di casa. Non perché fuori casa ci sia la certezza assoluta di ammalarsi e di finire in rianimazione. Ma perché è l’unico modo per far esaurire il fenomeno, dal momento che non è assolutamente prevedibile vedere chi è contagiato e chi no, perché l’80% dei positivi al coronavirus sono asintomatici.
Restate a casa. Mio figlio è proprietario di un ristorante in Brianza. Avrebbe potuto tenere aperto fino alle 18, come da ordinanza. Ha parlato con me e dopo che gli ho spiegato le cose ha deciso in autonomia di chiudere il suo locale. Riaprirà quando si potrà. Tutti dobbiamo dare l’esempio. Evitiamo gli assembramenti, evitiamo di andare in strada, evitiamo di fare cose che non siano realmente urgenti negli spazi pubblici».
La raccolta fondi
Il professor Zangrillo ha collaborato con l’iniziativa di Chiara Ferragni e Fedez di raccogliere fondi su Gofundme per la creazione di nuovi posti letto in terapia intensiva all’interno del San Raffaele. Lanciata il 9 marzo alle 11 con i primi 100mila euro donati dalla coppia, la raccolta alle 17 registrava 1.100.000 euro di donazioni.
Per approfondire:
● L’impatto del coronavirus sul sistema sanitario nazionale. Tre scenari
● Dove sono i posti letto nelle terapie intensive in Italia, ospedale per ospedale
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