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Prime nubi sui bilanci della moda: ricavi in frenata e previsioni incerte

Nei primi nove mesi dell’anno il settore cresce, ma nel terzo trimestre tutti i big registrano un rallentamento e rivedono al ribasso le stime future

di Giulia Crivelli

4' di lettura

Il quadro che emerge dai ricavi delle società quotate del lusso europee, quelli dei primi nove mesi del 2023 e quindi senza indicazioni sulla redditività, è più complesso e ricco di sfumature rispetto a quello che avevano dipinto le semestrali, che pure contenevano i dati sugli utili. Il settore continua a crescere, ma nel terzo trimestre c’è stato (quasi) per tutti un rallentamento, più o meno marcato e solo in parte compensato dalla spinta ricevuta dal periodo gennaio-giugno, con conseguenti revisioni della guidance per l’intero esercizio ed estrema prudenza sulle previsioni per il 2024, dove le parole più citate sono incertezza e incognite geopolitiche.

Prosegue la pioggia di dati economici e di riflessioni sulla sostenibilità

Sopra le medie di altri settori

Sia chiaro: la moda e in particolare il segmento dell’alta gamma – che per convenzione (non da tutti apprezzata, per altro) chiamiamo lusso – continua ad avere tassi di crescita di ricavi e utili che la maggior parte degli altri settori (e dei Paesi) vedono solo in sogno. Lo stesso vale per l’andamento in Borsa: un caso per tutti, Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo, con un fatturato 2022 di 80 miliardi di euro, quasi quattro volte quello del secondo player, Kering. Negli ultimi cinque anni – che comprendono l’annus horribilis del Covid – le azioni Lvmh sono passate da 269 euro del 1° novembre 2018 a 675 euro di ieri, con picchi, nel 2023, vicini ai 900 euro. E ricordiamo che manca l’ultimo trimestre e in particolare la stagione natalizia, che potrebbe riequilibrare l’andamento del periodo luglio-settembre.

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Qualcosa (forse) è cambiato

Guardando però al medio termine o almeno al 2024, per il lusso, rispetto al rimbalzo post Covid, visto a partire dalla seconda metà del 2021 e per tutto il 2022, e al buon andamento del primo semestre 2023, potrebbero esserci più che una pausa di riflessione legata (anche) all’attuale scenario geopolitico, che pure, senza dubbio, incide. Dopo quelli che Toni Belloni, managing director, di fatto numero due di Lvmh, ha definito «consumi euforici post pandemia» (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), si va verso una normalizzazione della crescita, che per i prossimi anni sarà più vicina al 5-6% che alla doppia cifra e sarà interessante vedere le previsioni del Monitor Altagamma-Bain sul mercato dei beni di lusso personali (l’appuntamento è per il 14 novembre a Milano).

Nell’aggiornamento della fine di giugno Bain&Company aveva previsto per quest’anno un’ulteriore crescita compresa tra il 5% e l’8%, dopo il record del 2022 (+19% rispetto al 2021, per un valore globale di 345 miliardi di euro). A lungo termine le prospettive del mercato, aveva spiegato Bain, sono positive e si prevede che entro la fine del decennio si arrivi a 530-570 miliardi di euro. Al quadro delle quotate mancano ancora il gruppo Tod’s (i dati dei nove mesi saranno annunciati l’8 novembre) e i gruppi americani, che non sono però assimilabili a quelli europei e che quasi certamente godranno del buon andamento dell’economia locale.

Non disponiamo inoltre dei dati 2023 delle grandi aziende non quotate: Armani, Chanel, Dolce&Gabbana, Valentino, solo per fare qualche nome. E va notato che tra le quotate quelle più resilienti – è davvero il caso di usare questo aggettivo – ci sono le aziende che meno hanno seguito tendenze e “bolle” del momento (in parte anche la Cina può essere considerata tale), ma hanno puntato su collezioni legate da un fil rouge di tradizione e Dna.

Il valore della tradizione

L’esempio migliore è Hermès, che ha chiuso i primi nove mesi a oltre 10 miliardi, in crescita del 17% rispetto al 2022 e nel solo terzo trimestre le vendite sono salite del 7,3% a 3,3 miliardi. Analoga resilienza per il gruppo Prada, che da alcune stagioni sta riproponendo alcune delle borse più iconiche, ma rese più sostenibili dalla ricerca sui materiali (+17% nei nove mesi a 3,34 miliardi, +10% nel periodo luglio-settembre) e per Moncler, che ha chiamato la sua strategia Beyond luxury, beyond fashion (+17% a 1,8 miliardi, +7% nel terzo trimestre). Ancora meglio Cucinelli, che ha chiuso i primi nove mesi a 818 milioni (+27,5%) e il terzo trimestre a +21%. Percentuali simili a quelle di Zegna (+22,9% e +20,8%): non è un caso che i due marchi siano da sempre interpreti di quel quiet luxury (lusso silenzioso, letteralmente) che adesso sembra un imperativo.

I segnali di ottimismo

A credere in una crescita “normalizzata” ma pur sempre solida sono in molti, considerando che, dopo una pausa di oltre un anno, si ricomincia a parlare di Ipo: lo ha fatto a Milano qualche giorno fa Alfonso Dolce, ad di Dolce&Gabbana, e lo fanno gli analisti americani per Tory Burch. Boston Consulting Group ha appena ipotizzato, nonostante l’incertezza sui tassi, un rimbalzo dell’M&A per il 2024, dopo il forte calo (-40%) di operazioni registrato a livello globale nei primi nove mesi del 2023. Si potrebbe concludere che da sprinter il lusso deve tornare a pensarsi maratoneta, mostrandosi un esempio, grazie alla immutata capacità di investire, anche nella sostenibilità e nel digitale, sfide che altri settori (si pensi all’automotive) sembrano costretti a lasciare incompiute, almeno nel breve-medio termine.

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