idee per il nuovo governo

Priorità: investire sull’istruzione

di Vincenzo Galasso

(Imagoeconomica)

3' di lettura

L’analisi della crisi politica di ferragosto sofferma sulle tattiche dei diversi partiti e dei principali attori politici. L’impressione è che, un po’ come nel calcio, ci piaccia celebrarci per le nostre doti tattiche. Eppure dall’inizio del millennio la nostra economia cresce meno dello 0,2% all’anno: cosa c’è da compiacersi? Meglio concentrarsi sulle cause dei suoi mali e sulle possibili soluzioni, lasciando perdere selfie, citazioni da cultura classica “de noantri” e facili ironie.

Per capire cosa dovrebbero chiedere gli italiani al loro governo, consideriamo i tanti mali di cui soffre il nostro Paese: crescita zero, scarsa innovazione, bassi livelli di capitale umano, elevato divario territoriale Sud-Nord, burocrazia e giustizia lente e macchinose, spesa pubblica elevata e poco produttiva, crescente diseguaglianza sociale, imposizione fiscale iniqua, invecchiamento della popolazione. Sono problemi di lontana origine, lasciati incancrenire o addirittura esacerbati da una classe politica che ha difeso le rendite di posizione e messo a tacere gli scontenti con politiche assistenzialiste. Oggi, come dieci o trent’anni fa. Ma lo scenario internazionale – con la globalizzazione – e domestico – con l’elevato debito pubblico – è cambiato e correre ai ripari è indispensabile. Ma senza farsi illusioni.

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Sicuramente non aiutano la crescita politiche assistenzialiste come Quota 100, che drena risorse da più meritori impieghi per continuare a finanziare i baby-boomer. Ma neanche tagli marginali alle imposte – benché utili – basterebbero ad innescare una crescita duratura. L’Italia ha bisogno di ripartire dai fondamentali: dall’istruzione. I risultati dei test Pisa (del 2015, quelli del 2018 saranno disponibili a dicembre), che confrontano le capacità cognitive dei quindicenni dei Paesi Ocse in matematica, scienze, comprensione del testo e risoluzione dei problemi logici, sono disarmanti! Il voto medio dei quindicenni italiani nelle quattro prove è sempre tra i più bassi d’Europa. Mentre gli studenti italiani risultano tra i più ansiosi a causa della scuola. Ancora più evidenti sono le differenze territoriali nei risultati delle prove Pisa, con il sud Italia stabilmente sul fondo della classifica. Questo triste spaccato dell’istruzione superiore si conferma anche all’università. L’Italia rimane tra i Paesi dell’Unione Europea con meno laureati. Solo il 27,8% dei giovani in età compresa tra i 30 ed i 34 anni ha completato l’istruzione terziaria, contro una media europea del 40,7%. Anche la composizione dei (pochi) laureati è diversa dal resto d’Europa: ben il 16% si laurea in materie umanistiche e solo l’8% in scienze naturali, matematica e tecnologia, contro una media europea dell’11% per entrambe le tipologie di indirizzo.

Per risolvere il (serio) problema di povertà educativa, concentrato soprattutto nelle regioni del Sud Italia, è necessario modificare l’approccio verso il sistema d’istruzione – dalle primarie all’università – mettendo al centro l’apprendimento degli studenti. Da un lato è indispensabile una miglior selezione, formazione e valutazione dei docenti. Valga un semplice esempio, secondo i dati Ocse, in Italia, la percentuale dei professori di scienze laureati in scienze è inferiore al 5% contro il 73,8% dei paesi Ocse. Ma le competenze vanno remunerate. Mentre oggi l’Italia, pur avendo un rapporto studenti docenti in linea con la media dei Paesi Ocse, ha una spesa per istruzione (secondaria e terziaria) tra le più basse d’Europa. Investiamo poco nell’istruzione dei nostri figli, ad iniziare dalle basse retribuzioni che paghiamo ai loro educatori – e ci accontentiamo di poco: una scuola nozionistica, poco attenta al ragionamento logico e alle materie scientifiche. E così, malgrado i nostri ragazzi studino 4 ore alla settimana in più a casa della media Ocse, la loro performance in matematica, scienze e risoluzione dei problemi logici è inferiore alla media.

Aumentare il livello medio di istruzione nel nostro Paese consentirebbe di avere una forza lavoro più produttiva, ma anche una maggiore mobilità sociale ed una popolazione più consapevole. Qualcuno storcerà il naso, sostenendo che in Italia neanche i laureati trovano un buon lavoro e che anzi i migliori preferiscono andare all’estero. Tuttavia, un aumento del livello di istruzione aiuterebbe anche ad accrescere la domanda di laureati da parte delle imprese. Alcuni studi mostrano infatti che gli imprenditori con una formazione universitaria sviluppano più attività high-tech e aumentano le dimensioni dell’azienda. Ciò contribuirebbe a modernizzare il sistema produttivo italiano ancora troppo ancorato a produzioni low-tech e ad assumere più laureati – soprattutto in materie scientifiche. La prima richiesta al governo che verrà (con o senza elezioni) è di tornare ad investire nell’istruzione, mettendo al centro l’apprendimento degli studenti.

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