Private capital, 2022 miglior anno di sempre con 23,6 miliardi investiti
Gli investimenti totali lo scorso anno sono risultati in crescita del 61%. le previsioni per il 2023 sono più caute a causa delle tensioni bancarie a livello internazionale e el rialzo dei tassi di interesse.
di Monica D'Ascenzo
I punti chiave
5' di lettura
«Il 2022 è stato il miglior anno di sempre con investimenti totali per 23,659 miliardi con una crescita del 61%. Tanti capitali in più sono affluiti sulle nostre imprese e anche sul sistema infrastrutturale per un totale di 848 operazioni. Nel dettaglio sono raddoppiato i buy out, che hanno raggiunto gli 11 miliardi dai 5,4 miliardi del 2021 in 185 deal, mentre le operazioni del settore infrastrutture hanno toccato i 10,7 miliardi in 52 operazioni. A livello di numero di deal la fa da padrone il venture capital con 547 operazioni». Questo il quadro disegnato da Anna Gervasoni, direttrice generale di Aifi, in occasione della presentazione dei risultati dell'analisi condotta dall’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt, in collaborazione con PwC Italia – Deals, sul mercato italiano del capitale di rischio.
«Buon andamento soprattutto degli investimenti - ha commentato il presidente di Aifi Innocenzo Cipolletta - con una presenza a carattere internazionale. Gli investitori internazionali stanno facendo operazioni dirette e allo stesso tempo investono nei nostri fondi. Questo evidenzia una carenza di investitori italiani».
Un 2023 in rallentamento
«Ci aspettiamo un 2023 leggermente diverso rispetto allo scorso anno. Private equity e venture capital stanno risentendo della situazione congiunturale internazionale. Il clima è cambiato e c’è una minore propensione a prendere rischi, inoltre in prospettiva ci sarà una riduzione della liquidità. Tutto questo si ripercuoterà anche sul nostro mercato, soprattutto nel settore venture capital. L’Europa può reagire attraverso gli operatori pubblici, che possono supportare i mercati» osserva Cipolletta.
Facendo un focus sull’early stage, Anna Gervasoni ha aggiunto: «Se guardiamo alle start up in portafoglio ai nostri fondi possiamo dire che sono molto poco indebitate, perché il sistema venture capital italiano prevede una forte capitalizzazione con un forte equity dei fondi o di Cdp Venture Capital. Questo pone meno rischi rispetto all’evoluzione internazionale del mercato. Inoltre in Italia Venture Cdp Venture Capital ha annunciato una serie di azioni per lo sviluppo dell’ecosistema del nostro Paese. Per quel che riguarda il private equity tradizionali non ci sono, invece, soggetti istituzionali che possano supportare il mercato. Sarebbe necessario soprattutto in fase di raccolta». La direttrice Aifi ha poi sottolineato che «Non c’è un blocco di mercato, ma una lieve contrazione gennaio febbraio 2023 su 2022, segnali piccoli e non allarmanti. Continuiamo a vedere un interesse importante di investitori internazionali».
Sulle difficoltà per il 2023 concorda anche Francesco Giordano, partner Pwc: «Dall’operatività di tutti i giorni vediamo difficoltà nelle operazioni medio-grandi a causa del contesto finanziario, soprattutto per l’aumento dei tassi e la carenza liquidità. Alcune operazioni, quindi, potrebbero essere spostate più avanti nell’anno».
Il traino dei large e mega deal
Nel 2022 l'ammontare investito dagli operatori di private equity e venture capital ha raggiunto il livello più alto mai registrato nel mercato italiano, attestandosi a 23,659 miliardi di euro. Rispetto all'anno precedente, che già aveva fatto segnare valori record (14.699 milioni di euro), si è osservata una crescita ulteriore del 61%, trainata da alcune operazioni di dimensioni particolarmente significative realizzate sia nel segmento dei buy out sia in quello delle infrastrutture.
«Sono stati 24 i large e mega deal con ticket di solo equity superiore ai 150 milioni. Forte la partecipazione di soggetti internazionali con investimenti per 15,419 miliardi pari al 65% del totale, in crescita rispetto agli 11 miliardi del 2021. Gli operatori domestici molto attivi e decisamente leader a livello di numero di investimenti con 657 operazioni» osserva Gervasoni.
Complessivamente nel corso dell'anno sono state realizzate 7 operazioni con equity versato compreso tra 150 e 300 milioni (large deal) e 17 operazioni di ammontare superiore ai 300 milioni (mega deal), che insieme hanno rappresentato il 76% dell'ammontare complessivo investito nell'anno (17.889 milioni). Nel 2021 erano stati realizzati 8 large deal e 8 mega deal, per un ammontare pari a 9.821 milioni (67% del totale).
Nel complesso, il numero di operazioni è cresciuto del 30% attestandosi a 848, rispetto alle 654 dell'anno precedente, trainato dall'attività di venture capital, che dal 2020 sta crescendo in modo significativo, grazie all'avvio dell'operatività di un soggetto di matrice istituzionale, focalizzato sugli investimenti in imprese nelle prime fasi di vita.
La vivacità del venture capital
Nel dettaglio, nel 2022 il segmento dell'early stage (seed, start up e later stage), è cresciuto sia per numero di investimenti (547, pari al 65% del numero totale, +47% rispetto all'anno precedente), sia per ammontare, superando il miliardo di euro (1.179 milioni, +101%).
I buy out, invece, con 10,959 miliardi di euro e 185 operazioni (5.386 milioni e 159 investimenti nel 2021), si sono classificati al primo posto in termini di ammontare, pari al 46% del totale, seguiti a breve distanza dalle operazioni in infrastrutture. Queste ultime sono comunque state caratterizzate da un incremento rispetto all'anno precedente, con 10.695 milioni di euro (+39% rispetto ai 7.671 del 2021), distribuiti su 52 operazioni (45 l'anno precedente, +16%).
Le operazioni di expansion, invece, sono diminuite sia in termini di ammontare (483 milioni, -44% rispetto ai 858 del 2021) sia in termini di numero (46, -23%rispetto alle 60 del 2021). Infine, il segmento del turnaround, dedicato alle imprese in difficoltà, ha mantenuto un ruolo di nicchia, con solamente 9 operazioni e 249 milioni di euro investiti.
Stabile la raccolta
Nel 2022 la raccolta del private equity e venture capital è stata pari a 5.920 milioni di euro (di cui 5.084 milioni raccolti sul mercato), in crescita del 3% rispetto ai 5.725 milioni dell'anno precedente. Gli operatori che nel 2022 hanno svolto attività di fund raising sono stati 49 (44 l'anno precedente). Con riferimento alla provenienza geografica dei fondi raccolti sul mercato, la componente domestica ha rappresentato il 55%, mentre il peso di quella estera è stato del 45%. A livello di fonti, il 18% della raccolta deriva da fondi pensione e casse di previdenza (890 milioni di euro), seguiti dalle assicurazioni (13%, 678 milioni) e dalle banche (9%, 448 milioni). Mentre il settore pubblico e fondi di fondi è sceso dal 10,7% del 2021 all'8%. «Abbiamo sentito i nostri iscritti e il risultato della nostra survey ci indica che tanta raccolta di quest'anno andrà alle operazioni di buy out (69%), early stage (14%) e infrastrutture (12%)» evidenzia Gervasoni.
Disinvestimenti, manca l’opzione Ipo
Nel 2022 l'ammontare disinvestito al costo di acquisto delle partecipazioni è stato pari a 4.398 milioni di euro, in crescita del 63% rispetto ai 2.702 milioni dell'anno precedente. Il numero di exit è stato pari a 117, +13% rispetto alle 104 del 2021. Il canale maggiormente utilizzato per i disinvestimenti è stato la vendita ad altri operatori di private equity, con un peso del 60% in termini di ammontare (2.651 milioni di euro) e del 40% in termini di
numero (47). «Si predilige la vendita ad altri operatori finanziari e corporate, mentre sono meno frequenti le quotazioni in Borsa» commenta Gervasoni.
Il quadro internazionale
«Nel 2022 a livello internazionale si è registrata una riduzione nella raccolta del 22% a livello di ammontari e del 49% a livello di operatori. Sono aumentati anche i mesi necessari per arrivare al closing, sono necessari ora circa 20 mesi» illustra Francesco Giordano, partner Pwc, che aggiunge: «Un’ulteriore contrazione si è registrata a livello di investimenti a 6.575 deal. Più marcato il calo in Europa, con una riduzione del 53%, contro l’8% degli stati Uniti. Inoltre hanno visto una forte riduzione anche i disinvestimenti pari al 47% a livello di ammontare e 45% a numero con le Ipo che si sono ridotte del 73%, mentre le vendite a operatori industriali del 33%».
Il mercato italiano, quindi, per il secondo anno consecutivo è riuscito ad andare in controtendenza rispetto all’andamento globale. «Un quadro completamente diverso da quello italiano. Ma c’è da considerare che alcuni trend esteri arrivano in Italia con 3-6 mesi di ritardo. Il mondo private equity italiano ha fatto comunque molto bene nel ’21 e nel ’22, certo per l’anno in corso le tensioni sul mercato bancario e l’aumento dei tassi non facilitano il mercato soprattutto per i deal di grandi dimensioni» chiosa Giordano.
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