Private equity, la strada di Tamagnini «È tempo di allearsi con l’impresa»
«Il capitale di rischio ha un ruolo cruciale perché trasferisce il risparmio». «A Milano una cittadella hi tech ache avrà nei fondi il motore finanziario»
di Carlo Festa
4' di lettura
«Di fronte alla crisi del coronavirus, l’Europa ha due scelte, entrambe coraggiose. La prima è usare questo momento tragico per accelerare la creazione degli Stati Uniti d’Europa e supportare gli Stati membri con una massiccia iniezione di capitale garantito dall’Unione. La seconda è lasciare i singoli stati soli nella gestione di un evento troppo grande e porre le condizioni per la disintegrazione». A tracciare questa allarmante alternativa è Maurizio Tamagnini, amministratore delegato di Fsi, uno dei maggiori investitori italiani in capitale di rischio, i cui fondi sono sottoscritti da Cdp, da banche, assicurazioni e dai maggiori fondi sovrani al mondo. Tra le aziende partecipate di Fsi ci sono Missoni, Cedacri, Adler, Lumson e Kedrion.
Cosa deve fare l’Europa come intervento complessivo a favore delle imprese, degli investitori e dei mercati finanziari?
Siamo a un bivio storico: mi auguro che la leadership possa velocemente indirizzarsi verso il primo scenario. L’opinione pubblica dei Paesi del Sud Europa chiede giustamente a gran voce gli eurobond. Anche io sono d’accordo. Credo che in Italia e negli altri Paesi del Sud, accanto a questarichiesta, si debba immediatamente sviluppare un dibattito su una base minima di comportamenti virtuosi da tenere in futuro, da “promettere” ai Paesi più scettici sul meccanismo di solidarietà.
Potrebbe identificare una misura prioritaria per far ripartire le medie aziende italiane nel post coronavirus?
L’unica misura che penso possa supportare concretamente le aziende italiane è una garanzia statale alle banche o ad altri istituti per fornire immediati prestiti di medio-lungo periodo (ad esempio a 5 anni di scadenza) con interessi bassi e senza garanzie reali o personali. In cambio di tale garanzia, le banche dovrebbero fornire ad ogni azienda richiedente un prestito su una percentuale massima del fatturato 2019, ad esempio fino al 30% o in linea con l’incidenza del costo del lavoro. Tale prestito dovrebbe essere erogato con procedure “quasi automatiche”, snelle, utilizzando al massimo il canale online. Questa semplice, ma massiccia iniziativa, dovrebbe consentire di “ibernare” le aziende in attesa dell’auspicata rapida ripartenza.
Ci sono criticità particolari?
L’epidemia è deflagrante per quasi tutte le aziende italiane allo stesso momento, in quanto azzera il fatturato dall’oggi al domani, senza permettere alcun tipo di reazione e indipendentemente dal merito e dalla competitività dell'azienda stessa. Tutte le aziende italiane, con l'eccezione dei pochi settori che producono per sostenerci nel nostro esilio casalingo forzato, hanno l’immediato problema di come finanziare i costi senza avere fatturato. In particolare le tre categorie di costi da finanziare per non “spegnere” l’azienda e arrecarle un danno permanente sono: i salari e gli stipendi ai dipendenti, i pagamenti ai fornitori e il finanziamento del magazzino.
Quale ruolo per il private equity in questa crisi?
L’industria del capitale di rischio ha un ruolo critico in questo momento storico, essendo il motore principale di trasmissione del risparmio dalle famiglie alle aziende. Usiamo questa crisi per recuperare il gap che avevamo sia come investitori che come imprenditori. Costruiamo le condizioni per una partnership fra il private equity e gli imprenditori per preservare l’avviamento industriale delle nostre aziende e prepararsi il più velocemente possibile per la ripresa. Sarebbe auspicabile che il capitale di rischio sia visto come un’opportunità da cogliere per la crescita e non una “medicina”. Attualmente il rapporto fra capitale di rischio e Pil dell’Italia è solo al 0,4%, la metà di quello della Francia. Cerchiamo di rafforzare la struttura di capitale e i bilanci delle aziende ogni qualvolta possibile e al più presto. Usiamo questo momento di rottura per modernizzare le nostre aziende in termini di managerializzazione, facilitazione del passaggio generazionale, consolidamento tramite fusioni e azionariato dei dipendenti. Alla ripresa, favoriamo la crescita dimensionale al mantenimento del controllo come dogma.
Come è accaduto all’estero.
Fuori dall’Italia spesso le aziende hanno aperto al capitale di rischio per crescere già da molti anni. Fsi, come maggiore fondo per la crescita delle aziende italiane è pronta a fare la propria parte investendo il suo fondo di circa 1,5 miliardi di euro accanto agli imprenditori, supportandoli nella competizione sui mercati internazionali con un approccio industriale e paziente.
Quali altre iniziative potrebbero favorire la ripresa?
Il coronavirus ci ha tragicamente mostrato quanto i cambiamenti tecnologici e sanitari siano determinanti nell’epoca moderna. Io credo che la grande priorità del Paese sia di mettere a fattor comune le tante buone iniziative già esistenti in settori avanzati, come nella scienza della vita e nella scienza dei materiali. Suggerisco la creazione a Milano di un campus della tecnologia simile a Station F di Parigi o a Tech City di Barcellona, dove le grandi aziende tecnologiche europee e mondiali possano promuovere migliaia di nuove aziende gestite dai nostri giovani. STMicroelectronics, azienda in cui ho il privilegio di rappresentare il Governo Italiano, ha appena stipulato con il Politecnico di Milano una delle più grandi partnership tecnologiche con università mai siglate a livello europeo. L’obiettivo è sviluppare le applicazioni del futuro nel campo dell’intelligenza artificiale, dell’elettronica e dell0automotive. I grandi istituti pubblici, come l’Iit per i materiali e Technopole per la salute, potrebbero federarsi con le università e gli ospedali italiani per fornire il supporto scientifico avanzato necessario per avere successo in molti settori industriali alla ripresa. I fondi di venture capital pubblici e privati, saranno il motore finanziario di questo rinascimento tecnologico.
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