Processo tributario, chi vince paga le spese in oltre il 50% dei casi
Nonostante la stretta del 2016, spesso i giudici ordinano la compensazione: così ogni parte deve farsi carico di parcelle e altri oneri
di Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste
3' di lettura
Troppo bello per essere vero: obbligare il Fisco a rimborsare le spese legali tutte le volte che il contribuente vince una causa. E infatti questa proposta non è stata approvata dalla Camera, durante il primo giro di emendamenti al disegno di legge delega per la riforma fiscale (venerdì scorso Montecitorio ha dato l’ok definitivo dopo le modifiche votate al Senato).
La proposta – firmata da quattro deputati di Forza Italia: De Palma, Rubano, D’Attis e Caroppo – era forse troppo estrema nel suo automatismo, ma tocca un problema molto sentito. Perché, ancora nel 2022, in oltre metà delle sentenze il giudice tributario ha deciso di compensare le spese del giudizio. Lasciando a ognuna delle due parti processuali l’onere di pagarsi – come elenca la legge – il «contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’Iva, se dovuti» (articolo 15, comma 2-ter, del Dlgs 546/1992).
Quella di compensare le spese è una tendenza ben radicata, come mostrano le Relazioni annuali sul contenzioso pubblicate dalle Finanze. E rischia di vanificare (o quasi) la vittoria processuale del contribuente, soprattutto quando le cifre in gioco sono basse. Se si pensa che il 49,7% dei nuovi ricorsi – dati 2022 – ha un valore della controversia inferiore a 3mila euro, è facile calcolare che in molte situazioni il contribuente potrebbe trovarsi a vincere la lite pagando per le spese processuali più di quanto avrebbe sborsato versando l’imposta contestata, senza fare ricorso. Il tema, comunque, interessa parecchio anche il Fisco, che l’anno scorso ha vinto la maggior parte delle liti (il 51,7% contro il 28,1% dei contribuenti) e in molti casi ha visto addossato alla collettività il costo della difesa tecnica in giudizio: ad esempio, in primo grado, quando le spese sono finite a carico della parte soccombente, nel 30,4% dei casi ha pagato il contribuente, nel 15,5% il Fisco.
La stretta del 2016
Il dilagare delle compensazioni è un problema antico, che nel 2016 ha portato a cambiare la norma che disciplina l’attribuzione delle spese. Andando a stabilire, a parte gli ovvi casi di soccombenza reciproca, che chi perde deve rimborsare le spese alla controparte, e il giudice può compensarle solo se ci sono «gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate» (come recita il comma 2 dello stesso articolo 15 già citato).
La stretta normativa, però, non ha prodotto grandi risultati. Nel 2016 effettivamente c’è stato un netto calo delle sentenze in cui il giudice ha compensato le spese (dal 68,7 al 60,8% in primo grado e dal 64,2 al 59% in secondo). Ma poi nei sei anni seguenti la percentuale è diminuita solo di pochi punti e con qualche saliscendi. E nel 2022 si è fermata al 54,1% in primo grado e al 55,2% in secondo: insomma, l’eccezione resta ancora la regola.
«Equità» e altre ragioni
A leggere le motivazioni dei giudici, capita di imbattersi in pronunce che giustificano la mancata condanna alle spese dell’ufficio perché i funzionari si sono attenuti «a un decreto ministeriale vincolante». O perché sono stati indotti in errore dal fatto che il contribuente non ha consegnato ai verificatori «un documento aggiornato».
Nella maggior parte dei casi, però, la motivazione viene liquidata in poche parole. Le spese tra le parti si compensano quando ci sono «differenti orientamenti giurisprudenziali sulla fattispecie» (forse la frase più frequente), oppure «per la particolare complessità della materia» o la «peculiarità della controversia», o il fatto che la questione sia «obiettivamente controvertibile». Addirittura, una pronuncia depositata a marzo ha compensato le spese «ritenendo equo, considerata la fattispecie in esame».
Quando vince il contribuente, le spese vengono compensate nel 49,6% dei casi in primo grado e nel 57,2% in secondo grado. Quando l’esito è a favore del Fisco, invece, il tasso di compensazione si abbassa al 42,6% in primo grado e al 42,3% in secondo. A parità di risultato, dunque, per i contribuenti è un po’ più difficile vedersi riconosciuto il diritto al rimborso delle spese: la differenza è del 7% in primo grado e di poco superiore al 15% in secondo. Anche in questo caso si tratta di una tendenza consolidata negli anni, pur con qualche differenza.
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