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Professione o hobby, i volumi guidano il regime fiscale

Tutti i proventi da attività social sono soggetti a Irpef, anche se occasionali

di Marcello Tarabusi

(rh2010 - stock.adobe.com)

3' di lettura

Influencer, creator, youtuber, streamer: la galassia della «economia del sé» (la felice definizione è di Guia Soncini) è variegata. Alcune star fatturano milioni, ma tanti si accontentano anche di qualche oggetto regalato dai brand promossi.

Molti pensano sia un hobby amatoriale fiscalmente irrilevante, ma l’articolo 67 del Tuir elenca, tra i redditi diversi, anche quelli derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e, più in generale, dalla assunzione di «obblighi di fare, non fare o permettere». Qualunque impegno (ad esempio: promuovere un prodotto, realizzare un video per un fan) produce un reddito imponibile, se si riceve qualcosa in cambio. Per scambi di scarso valore il rischio di accertamento è però quasi nullo: l’adolescente a cui un’azienda regala qualche cofanetto di trucchi da promuovere con post o story, ben difficilmente si troverà nel mirino del Fisco.

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Per le attività occasionali, pur soggette a Irpef, non vi sono adempimenti salvo la dichiarazione e il versamento delle imposte; l’esercizio abituale, al contrario, impone di aprire la partita Iva e iscriversi all’Inps. Non vi è un criterio univoco per distinguere l’attività professionale da quella occasionale: le dimensioni (numero di operazioni, volume d’affari) sono un indicatore (ma non il solo), ma non vi sono soglie fisse. In rete circola la teoria che sotto 5mila euro l’anno non vi sarebbe professionalità, ma tale soglia è codificata da norme previdenziali, mentre quelle fiscali tacciono. Chi ha “abbonati” per 4.500 euro l’anno, non svolge forse un’attività abituale?

Chi apre la partita Iva, fino a 85mila euro di ricavi può optare per il regime forfettario, che prevede una flat tax applicata non sul reddito effettivo (ricavi meno costi), ma su un imponibile forfettario: per il lavoro professionale il 78% dei ricavi (con ricavi di 10mila euro, l’imponibile è 7.800 a prescindere dai costi effettivi). Sull’imponibile si paga il 15%, ridotto al 5% per i primi cinque anni. I contributi Inps pesano per il 26,23%, ma sono deducibili. Non vi sono obblighi contabili né adempimenti Iva, a parte la fatturazione elettronica.

Per le attività occasionali, invece, si tassa la differenza tra quanto incassato nell’anno e le spese «specificamente» inerenti: ad esempio, si deducono le commissioni applicate dalla piattaforma sugli incassi. Indeducibili, invece, beni e servizi che, pur se utilizzati nell’attività, non sono riferibili a essa in via esclusiva, come l’acquisto del pc o tablet, l’abbonamento internet, i costi del cloud, e così via.

Rilevano anche i corrispettivi in natura. Per il fisco si incassa un corrispettivo anche se per l’attività sui social network non si riceve denaro, ma beni (ad esempio capi d’abbigliamento o cosmetici), buoni spesa o voucher, servizi (ad esempio accesso gratuito a piattaforme o servizi che ad altri utenti vengono fatti pagare). Lo stesso vale per i cosiddetti intangibili: messa a disposizione gratuita di spazi, comodato di beni (gadget, autoveicoli) e persino la partecipazione a eventi esclusivi o una copertura mediatica possono essere un corrispettivo in natura (non si dice «paghiamo in visibilità»?). Irrilevanti, invece, i campioni gratuiti di modico valore.

Come valorizzare i corrispettivi in natura? Per buoni carburante e voucher il calcolo è immediato, in altri casi è meno agevole: quanto vale la garanzia di visibilità a un dato evento, o l’uso gratuito di una vettura sportiva di altissima gamma? Se quel bene o servizio ha un mercato, lo si prenderà a riferimento: il biglietto per l’evento, il costo di noleggio per l’auto, le tariffe pubblicitarie (servizio, redazionale o advertising) su uno specifico medium, e così via.

Eventuali pagamenti su conti esteri o in criptovalute vanno inseriti in dichiarazione e indicati anche nel quadro RW tra gli investimenti esteri.

Attenzione anche alle «donazioni» e ai token che gli utenti “spontaneamente” offrono a youtuber e creator: difficile che non vengano attratti a tassazione, se in qualche modo promossi o sollecitati dal beneficiario.

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