Professionisti e autonomi, ecco perché i nuovi aiuti non saranno più «stop & go»
Nel 2020 gli indennizzi hanno coperto 7 mesi su 10 (con 5 diversi decreti). Ora vanno articolati gli interventi per cui è già autorizzata la spesa totale di 32 miliardi
di Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste
3' di lettura
Cinque decreti legge, 15 profili di lavoratori, sette mensilità su dieci coperte dagli indennizzi – tra marzo e dicembre – ma con un quadro tutt’altro che omogeneo. L’impianto degli aiuti 2020 a professionisti e autonomi è un patchwork cucito di mese in mese sempre sul filo dell’emergenza. Tagliato di qua e di là in termini di beneficiari, requisiti, importi e procedure d’accesso.
I 32 miliardi di scostamento di bilancio, decisi poche settimane fa per alimentare l’ipotetico decreto “Ristori 5”, con ogni probabilità continueranno a contemplare anche gli aiuti a professionisti e autonomi, come nelle intenzioni del Governo Conte-bis. Ma in una direzione ancora da tutta vedere, che sarà il nuovo Esecutivo a dover indicare.
La ripartenza degli aiuti avrà l’imprinting di Mario Draghi, che già l’anno scorso aveva sollecitato il sostegno immediato alla liquidità su vasta scala, esortando a mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario, per proteggere i cittadini e l’economia «contro scossoni di cui il settore privato non ha nessuna colpa, e che non è in grado di assorbire».
Oltre il fondo perduto
D’altra parte, con il passare dei mesi è diventato sempre più chiaro che la strategia degli aiuti a fondo perduto serve a far fronte allo shock iniziale, ma non basta a garantire né il sostentamento, né il rilancio delle attività economiche nel medio periodo. Ad esempio, un venditore a domicilio nel 2020 può aver ricevuto al massimo 4.800 euro spalmati su sei mensilità tra marzo e dicembre. Mentre un libero professionista iscritto alla gestione separata Inps si è fermato a 2.200 euro in tre mensilità (si veda il grafico). Cifre non trascurabili – soprattutto se si va a vedere l’impatto per le casse pubbliche – ma che agli occhi di molti lavoratori sono sembrate poco più di una mancia.
Solo nei primi due mesi dell’emergenza (marzo e aprile) l’impegno di spesa totale per il sostegno agli autonomi è stato di 5,2 miliardi, come spiega l’Ufficio parlamentare di bilancio. Ma distribuito su una platea di 4,25 milioni di richiedenti si è tradotto in 1.226 euro pro capite.
Tutto ciò con requisiti d’accesso che spesso hanno prestato il fianco alle critiche di chi è rimasto escluso. I limiti di questo meccanismo sono stati indirettamente evidenziati anche nelle discussioni sull’ipotetico decreto “Ristori 5”: il vecchio Governo, infatti, stava pensando a un nuovo sistema di indennizzi basato sulle effettive perdite di fatturato per l’intero 2020. Andando oltre, così, alle misure spot erogate l’anno scorso.
L’efficacia da ritrovare
Mentre altri Paesi europei come Germania e Spagna hanno già programmato l’estensione degli aiuti per i prossimi mesi, uno dei punti su si cui misurerà la bontà dei nuovi interventi italiani sarà la capacità di selezionare con efficacia i destinatari, oltre alle cifre in gioco. Tenendo conto dell’inevitabile evoluzione dei quadro economico: rispetto all’inizio della pandemia, c’è chi sta tenendo duro e chi ha cessato l’attività (magari per tentarne un’altra). E c’è anche chi ha aperto una nuova partita Iva, spesso lasciando un impiego dipendente ormai al capolinea.
Solo nel primo semestre 2020 – con tre mesi di lockdown duro – il lavoro indipendente (professionisti e no) ha perso circa 140mila unità: andando così ad aggiungere un 20% alle 735mila posizioni perse nel decennio 2009-19, secondo l’ultimo rapporto di Confprofessioni. Ma tra luglio e settembre 2020 – rileva il dipartimento Finanze – sono state attivate 104.900 nuove posizioni Iva: il 3% in più su base annua, con un balzo del 10% rispetto al trimestre precedente.
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