Profumi e colori di Africa lungo le strade antiche del Marocco
Un itinerario di primavera con tappe nei luoghi da sperimentare tra rituali classici e nuove atmosfere. Riad, resort, negozi e souk imperdibili
di Mariateresa Montaruli
I punti chiave
7' di lettura
“Chi va nel deserto non torna uguale”, recita un proverbio beduino. Così anche per il fiume Draa, il più lungo del Marocco. Scorreva un tempo felice per ben 1.200 chilometri tra le pietraie del massiccio dell'Altante: secco a tratti, fino a riapparire, limpido e blu, nella piana sotto Agadir. Ma il suo destino cambiò. Negli anni Settanta fu deviato dalla costruzione della diga di Ouarzazate. Le acque scomparvero nella sabbia a nord di Tan-Tan, dopo soli 250 chilometri. Quel che resta del suo letto è la valle del Draa, 180 chilometri di sassi e asfalto tra Agdz e M'hamid, bagnata da molto sole di giorno, di notte dalla luce di infinite stelle. Passavano da qui le vie carovaniere dirette a Timbuctù: sale, rame, e spezie da scambiare con oro, ambra e coralli. Gli ksour, i villaggi di fango e sabbia dal tracciato sinuoso e irregolare, con i camminamenti che si piegano a gomito, per “spezzare” il vento, sono dappertutto. Le incisioni nelle pareti di argilla delle muraglie e delle case sono l'unica testimonianza “scritta” degli antichi berberi: un alfabeto di simboli e segni che si va sfaldando. Il nostro itinerario nel Marocco meridionale, la parte del paese che consente un assaggio di città imperiali e deserto, segue l'antico corso di questo grande fiume, partendo da Marrakech.
Nel cuore della Medina di Marrakech,
Sfatiamo un mito. Nella Medina di Marrakech non ci si perde. Munitevi di una bussola, una cartina dettagliata, un'app di navigazione e di una briciola di senso dell'orientamento. Basta dividere il centro storico in riquadri e non dimenticare che il suo cuore è piazza Djemaa el Fna, il tableau vivant di saltimbanchi e cantastorie, incantatori di serpenti e ricamatrici di henné da cui prima o poi bisogna passare.
Le tappe must del centro storico sono il Musée di Marrakech che raccolglie gioielli, ceramiche di Fès e arte moderna, e il Palazzo Reale di el-Badi i cui soffitti erano rivestiti di oro proveniente da Timbuctù. Ci s’infila poi nelle strette “ruelle”, ombre lunghe e alte luci, che portano a mercati e ristorantini. Come Le Salama, in stile anni '60, il film Casablanca che aleggia qua e là, i tavolini illuminati dalle sole candele. Il pianista comincia a suonare alle 20, il menu propone agnello caramellato con le pere e la danza del ventre promette di essere “coreografica”. Nella zona di Dar El Bacha dove piccole corti si sono trasformate in snodi di boutique e gallerie, si trova la Terrasse des Epices, un bel lounge-ristorante di tono neoZen, buono anche per un aperitivo accompagnato da datteri. A sud della piazza, al 142 di Bab Doukkala, si va dall'antiquario Mustapha Blaoui: lanterne, ceramica e bijoux ritrovati nella Valle del Draa, ma anche arredi di zinco e madreperla di nuovo design. Non lontano, si riscopre il rituale lento dell'hammam con i suoi impacchi di argilla e sapone nero a Les Bains de l'Alhambra. A nord dei souk si apre il nuovo Riad Nashira improntato al minimalismo bianco-perla: finiture di tadelakt (l'intonacatura lisciata con pietre di fiume e sapone nero degli hammam), lampade di fattura neoartigianale e una grande Spa.
La Città Nuova
Cambia l'atmosfera a Guéliz, il reticolo urbano sviluppatosi fuori dalla Medina dopo il 1913. Il suo angolo più romantico è il Jardin Majorelle, un bosco incantato di piante non solo grasse. Appartenuto al pittore Jacques Majorelle poi a Yves Saint Laurent, il Jardin ha un caffè, una boutique di neoartigianato e una libreria. Si viene qui a cercar frescura o contemplazione, secondo la stagione. La casa blu-indaco degli anni '20 che fu di Majorelle ospita l'affascinante Musée Berbère che custodisce costumi, acconciature e monili a testimonianza dela ricchezza decorativa del mondo berbero. Poco lontano si trova uno dei primi concept store di Marrakech, il 33 Rue Majorelle, con oggetti e capi di artisti-artigiani-designer del Marocco contemporaneo: t-shirt, babucce, borse e lampade.
Da mettere nel carnet degli indirizzi, nella Città Nuova, anche la Galerie Birkemeyer, da oltre mezzo secolo l'indirizzo top per l'acquisto di trench, pantaloni e giacche di pelle di qualità. Al 34 di rue de la Liberté, bisogna letteralmente sgomitare per provare un paio delle coloratissime ballerine in vendita da Atika, indirizzo sempre gettonato. È gettonato anche il Grand Café de la Poste d'atmosfera coloniale, con le piastrelle a scacchi, le seggiole da osteria, i tavolini in marmo e le ventole a pala, in avenue Imam Malik, dove si respira l'atmosfera del tempo che fu e si scopre come si declina a Marrakech concetto di brasserie francese. Non lontano, è stato aperto il nuovo ristorante Sahbi Sahbi, con décor contemporaneo. Appena fuori dalla Medina, il Mamounia resta una leggenda dell'hotellerie mondiale, un grand hotel fondato su un mix di stucchi, intarsi moreschi e Art Decò, rinnovato nel 2009, con giardini da favola. Lasciati alle spalle i torrioni della Medina occupati dai cigni delle cicogne, le palme e gli agrumi profumati, ci si ritrova in campagna, ai margini del pre-deserto. Sulla route per Ourika, si trova un indirizzo eccellente, il resort Fellah dall'estetica neo-mexican, in un giardino di ulivi scultorei e gigantesche piante grasse, noto per ospitare anche artisti in residenza.
Ait Benhaddou, porta d’accesso alla valle del Draa
La porta d'ingresso alla valle del Draa è la cittadina di Ouarzazate raggiunta in circa 3 ora di viaggio da Marrakech lungo l'asfaltata N9 che attraversa, in uno scenario di calanchi rossastri, lecceti e eucalipti, la catena dell'Alto Atlante. Il traffico, lasciata la città è inesistente. Occorre però fare attenzione ai carretti trainati dagli asini. A ogni curva, gruppetti di ragazzini mostrano geodi spaccati a metà. Non bisogna abboccare: si tratta di cristalli colorati artificialmente. Una breve deviazione, 10 chilometri prima di Ouarzazate, conduce allo ksar fortificato di Ait Benhaddou, inserito nella World Heritage List e ristrutturato con fondi Unesco. Spettacolare ma privo di vita, da osservare nel pomeriggio, quando la cittadella si accende di sfumature rossastre, sorseggiando un tè dalla terrazza al di qua dal fiume.
Tappa a Ouarzazate
Negozi di kilim berberi (tappeti di lana grossa, colori spenti e motivi geometrici, origianariamente utilizzati come coperte o stuoie da letto) e di piccolo antiquariato (da non perdere i rari piatti Tuareg di sabbia e rosso d'uovo cotti nella stessa sabbia del deserto) riempiono Ouarzazate, ormai a 200 chilometri da Marrakech. La sua più grande attrattiva è la kasbah-museo di Taouirt, anch'essa ristrutturata con fondi Unesco, aperta a visite guidate che valgono senz'altro la spesa. Appartenuta a una famiglia nobiliare della regione, la kasbah conserva ambienti decorati, scale e cunicoli, pareti di pisé (fango e paglia) incise da decorazione simboliche; anche inferriate o “gelosie” da cui le donne poteveno guardare senza essere viste. Si prende poi volentieri una tazza di tè all'hotel Oscar degli Studi cinematografici poco fuori città, un buon pretesto per curiosare tra i set di Il tè nel deserto, Lawrence d'Arabia, Il mistero della pietra verde e Kundun. Gli studi costano poco alle produzioni cinematografiche straniere e la tradizione artigianale marocchina, ancora vivissima, fornisce ottimi pittori e intagliatori da set. Ouazazate ci si dà la buona notte alla Kasbah Dar Daif, una casa tradizionale riconvertita in maison per gli ospiti dalla prima donna guida alpina in Marocco.
Tamnougalt, verso la montagna dell’Atlante
Da Ourzazate la strada si inoltra lungo il Gebel Tifernine, contrafforte orientale dell'Anti Atlante che raggiunge con il Tizi n'Tinififft i 1680 metri di altitudine. Tappa d'obbligo, lo ksar di Tamnougalt, antica capitale della regione. Appena fuori si trova un marabout (eremo o santuario, solitamente l'antica dimora di un santone) e una kasbah trasformata in postazione militare più volte ripresa ne Il tè nel deserto. Il villaggio conserva archi e camminamenti, patii e soffitti decorati con hennè, zafferano e kajal raffiguranti palme da dattero. Nello ksar si trova anche un hammam, un bagno pubblico di moderna costruzione, realizzato fa perché le donna potessero, come un tempo, riavere un luogo in cui lavarsi e incontrarsi. Non certo un hammam da grand hotel, resta un'esperienza autentica da provare se si riesce a superare la sua sottile promiscuità.
Si susseguono, proseguendo più a sud, altri villaggi di terra cruda. Il tetto del fiume diventa a tratti una grande oasi di palmeti e orti dove crescono la pianta dell'henné, il melograno, l'erba medica, il fico e la vite. A Tinezouline, la pista attraversa un'oasi dove una volta alla settimana si tiene un piccolo souk buono per comprare cumino, finocchio e timo, le spezie coltivate in Marocco (cannella e chiodi di garofano pur in vendita arrivano dall'Oriente). Una pista di sassi conduce, dopo 7 km, a uno dei più importanti siti preistorici della valle dove, su ammassi di pietre nere, è possibile individuare incisioni rupestri libico-berbere dell'Età del Ferro.
Zagora, alle porte de deserto
A sud, la valle porta a Zagora. Prima del 1928 non c'era altro che qualche stamberga di terra, ulivi e coccodrilli che si trovano adesso solo in Niger; e la terra veniva misurata in braccia, in arabo dra. Entra con noi, prendi un tè, ti dicono. Seduti su una stuoia, ti propongono in tanti un bivouac, un'uscita a dorso di dromedario verso la regione di El Rachidia e verso le dune di sabbia di Ch'gaga. Fuori Zagora, tra villaggi semi-abbandonati assediati dal deserto, la valle respira lenta. I datteri vengono raccolti a mano, il kajal segna gli occhi irrequieti delle donne, la djellaba o tunica non è stata soppiantata dalle tee-shirt. Dentro le mura di fango degli ksour sono le donne a alimentare il fuoco con le foglie di palma. “È il fumo a sostenere la casa”, dice un proverbio di montagna. Nella sonnolenta Zagora, un inequivocabile cartello indicava ai Tuareg che mancavano “52 jours” per raggiungere Timbuctù, “la stanca città carovaniera” che Chatwin immaginò come il punto di incontro di quanti viaggiavano verso sud. Il cartello è ancora lì: un must per una foto. Tappa di passaggio verso il deserto, la cittadina ha un mercato che vende datteri e babbucce di pelle insieme a occhiali da sole e altre modernità. L'indirizzo per pernottare è lo Stargazing SaharaSky, una neo-kasbah arredata in modo essenziale, tra i pochissimi in Marocco ad essere dotati di telescopi per l'osservazione dell'eccezionale cielo notturno. A sud del villaggio di M'hamid, nel grande altopiano di Ch'gaga, al confine con l'Algeria, si alza il cordone di dune di Laabidlia. Finisce qui la valle del Draa. La fragilità della regione si accentua, esposta all'avanzata del deserto, così le superstizioni. Nell'oasi sacra di Oum Laalag, è proibito raccogliere i datteri: dicono che porti sfortuna. L'ultima carovana dall'Africa Nera arrivò nell'oasi nel 1947, sotto una pioggia di stelle. Mangiarono i datteri. Non sono più tornati.
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