Proprietà industriale, Confindustria: bene il nuovo codice, ora il sì per centrare le scadenze Pnrr
Audizione dell’associazione degli imprenditori al Senato: giusta l’abolizione bene abolizione del “professor privilige” ma servono correttivi
di Nicoletta Picchio
I punti chiave
3' di lettura
Un apprezzamento per l’impianto complessivo del disegno di legge di modifica del Codice della proprietà industriale che rientra nelle Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale 2021-2023, linee che hanno recepito diverse proposte formulate da Confindustria.
La riforma del Codice, insieme ai decreti attuativi, rappresentano «una pietra miliare del Pnrr» e quindi è necessario che vengano approvati entro il terzo trimestre di quest’anno. «La priorità è che l’iter del ddl segua tempi rapidi e compatibili con l’esigenza di centrare le scadenze stabilite nel Piano».
Correttivi per una maggiore efficacia
È questo il messaggio che Confindustria ha voluto dare nell’audizione in Commissione Industria del Senato. Sono necessari alcuni correttivi per renderla ancora più efficace in alcuni aspetti. Inoltre la riforma, pur essendo un «passaggio indispensabile» non è risolutiva, ha sottolineato Confindustria, perché per spingere gli investimenti innovativi «servono adeguati interventi di sostegno agli investimenti in innovazione e beni immateriali».
L’abolizione del «professor privilege»
Nella riforma del Codice è positivo aver abolito il professor privilege, come proposto da Confindustria: la titolarità delle invenzioni non sarebbe più del singolo professore o ricercatore ma dell’ateneo o ente di ricerca. In questo modo l'Italia si allinea agli altri paesi europei. Non solo: la riforma facilita la gestione dei brevetti nei rapporti tra università, enti pubblici di ricerca e imprese, favorendo il partenariato e «può contribuire a creare un sistema di concorrenza virtuosa tra le università», spingendole a collaborare con le imprese.
Autonomia negoziale più forte
Per raggiungere in pieno questi obiettivi servono alcune modifiche: va rafforzato il riferimento all’autonomia negoziale come modalità per regolare i diritti di sfruttamento dei risultati della ricerca finanziata dal privato. Questa regolazione dovrà essere declinata in un contratto tra università e soggetto che finanzia la ricerca. Per favorire una regolazione equa dei rapporti economici tra le parti occorre far riferimento a delle apposite «linee guida» che dovrebbero essere elaborate e adottate dal governo, entro un termine «congruo» dall’entrata in vigore della riforma del Codice.
La ripartizione economica dei diritti
Al contrario non va definita per legge la ripartizione economica dei diritti di privativa in caso di invenzione finanziata dal privato, da lasciare all'autonomia delle parti. Obiettivo di Confindustria, nell'attuazione del Pnrr, è rafforzare le partnership pubblico-privato, ancora debole. Anche in questo contesto, per spingere i partenariati nella Ricerca e sviluppo, si apprezza che la riforma del Codice preveda la possibilità per le Università e gli enti pubblici di ricerca di dotarsi di uffici di trasferimento tecnologico per valorizzare i titoli di proprietà industriale. E si apprezza anche pagamento posticipato dei diritti rispetto al deposito della domanda di brevetto, anche questa una misura che allinea l'Italia ad altri paesi Ue e a sistemi internazionali. Condivisibili anche le novità su semplificazione e digitalizzazione delle procedure di registrazione e gestione dei titoli di proprietà intellettuale.
Investimento in R&S in crescita
La riforma del Codice, sottolinea Confindustria, è attesa dall'industria italiana e può essere un buon viatico per la messa a terra dei progetti del Pnrr. Nell'audizione è stato messo in evidenza che in Italia le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale generano oltre il 52% del Pil e contribuiscono al 28% dell'occupazione, con risultati migliori alla media Ue. Gli “intangible” spesso costituiscono il reale valore economico di un'impresa e il principale fattore di competitività: negli ultimi venti anni l'investimento in R&S delle imprese italiane è quasi raddoppiato, passato dallo 0,5% del pil allo 0,94 del 2022, con un'accelerazione nell'ultimo triennio (+3,9% nel 2022 rispetto al 2021). Nello stesso tempo quelli pubblici sono rimasti sostanzialmente stabili, dallo 0,5% del pil nel 2000 allo 0,56 nel 2020.
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