nuovo disciplinare

Prosciutto di Parma, regole più severe per chi produce la Dop

di Giorgio dell'Orefice

(Bloomberg)

3' di lettura

Giro di vite del Prosciutto di Parma Dop su controlli e disciplinare di produzione. L'assemblea dei soci del consorzio ha votato ieri alcune modifiche alle regole che governano una delle principali denominazioni d'origine italiane (8,5 milioni di cosce di prosciutto prodotte, 1,7 miliardi di euro di fatturato realizzato per il 30% all'estero). Le novità si snodano lungo quattro pilastri: il rafforzamento delle garanzie sulla terzietà dei controlli, varo di una task force di esperti dedicata alla certificazione, modifica e rafforzamento del sistema dei controlli e infine la revisione del disciplinare di produzione, ovvero il complesso di regole che sovraintendono al processo produttivo del Prosciutto di Parma Dop.

Si tratta di un pacchetto di misure che rappresenta una risposta forte da parte del Consorzio di tutela su capitoli che nei mesi scorsi erano stati al centro di varie polemiche. In particolare le critiche avevano toccato l'ente di certificazione che secondo alcuni era riconducibile ad alcuni anelli della filiera stessa e quindi non garantiva la necessaria terzietà (con conseguenti accuse di possibili conflitti di interesse). Ma sotto accusa, in particolare da parte di rappresentanti del mondo agricolo, erano finiti l'origine (soprattutto genetica) della materia prima utilizzata e il peso complessivo dei suini coinvolti nel processo produttivo (che secondo molti è spesso superiore ai limiti imposti dal disciplinare di produzione).

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Per questi motivi la prima delle misure adottate dal Consorzio di tutela del Prosciutto di Parma è stata il cambio dell'ente di certificazione: dopo una collaborazione ventennale sarà chiuso il rapporto con l'Istituto Parma Qualità (IPQ) e il sistema di certificazione e controllo della Dop Prosciutto di Parma passerà a CSQA Certificazioni.

Nella fase di passaggio l'Istituto Parma qualità continuerà a svolgere il proprio incarico di controllo e certificazione in attesa che venga definito da CSQA insieme alla task force di esperti messa a punto dallo stesso Consorzio di tutela, il nuovo piano di controllo del Prosciutto di Parma Dop. «Un nuovo piano – spiegano al Consorzio – si rende necessario per adeguare il sistema dei controlli alla complessità della filiera del Prosciutto di Parma Dop. Come anche le incertezze e i dubbi sollevati sul peso dei suini coinvolti nel sistema produttivo erano da attribuire a un piano dei controlli non più performante, da rivedere».

Inoltre dopo una fase di studio durata diversi mesi, il Consorzio ha avviato anche l'iter di modifica del disciplinare di produzione che prevede nelle prossime settimane la consultazione di tutta la filiera produttiva. Le modifiche riguarderanno ogni fase del processo, dalle caratteristiche della materia prima - tra cui genetica, peso e alimentazione dei suini, benessere animale, peso e caratteristiche delle cosce fresche - fino al prodotto finito come metodo di lavorazione, peso e stagionatura del prosciutto.

«Il nuovo ente di certificazione è la modifica più immediata – spiega il direttore del Consorzio del Prosciutto di Parma, Stefano Fanti – ma il vero pilastro sarà il nuovo disciplinare. E su questo fronte le prime novità riguarderanno la genetica. La strada è quella di confermare la centralità delle razze tipiche italiane. Ma accanto a queste sarà creata una lista positiva di altre tipologie di suini, frutto di incroci tra razze che saranno poi ammessi a entrare nel circuito del Parma Dop dopo che ne sarà stata valutata attraverso specifiche verifiche, l'idoneità rispetto a un processo che prevede una lunga stagionatura delle cosce di prosciutto. Altre questioni al centro delle modifiche del disciplinare riguarderanno il peso dei suini, per i quali l'obiettivo è passare da un concetto di peso medio vivo a quello di peso della singola carcassa, e poi adeguare i sistemi di allevamento e in particolare la dieta dei suini stessi. Per quest'ultima occorre rivedere il disciplinare anche per adeguarlo alle norme Ue che impongono che il 50% dei mangimi provengano dalla zona di produzione. Una regola che gli allevatori hanno finora ovviamente rispettato anche senza una revisione ad hoc del disciplinare di produzione».

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