Prosecco addio. Produrremo solo Valdobbiadene Docg
Proprio quando il Prosecco è al culmine del successo l’azienda di S. Stefano di Valdobbiadene ha deciso di prediligere la territorialità e rinunciare al nome
di Giambattista Marchetto
5' di lettura
Prosecco addio. Può sembrare un paradosso, ma nonostante il successo internazionale del nome associato al prodotto e pur a seguito del riconoscimento come patrimonio mondiale dell'Umanità Unesco, nella culla del Prosecco – ovvero sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene – prende vita una spinta (eclatante) verso l'abbandono della denominazione vinicola tra le più cliccate e acquistate a livello mondiale.
Dopo che la Confraternita di Valdobbiadene - nata nel secondo dopoguerra per contribuire al rilancio delle colline oggi protette – si è fatta promotrice nel luglio 2019 di una istanza per l'eliminazione della dicitura “Prosecco Superiore” dalle etichette di bollicine made in Conegliano-Valdobbiadene, ora la maison Col Vetoraz passa all'azione e annuncia la propria decisione unilaterale e indipendente: «Produrremo solo Valdobbiadene Docg».
La mossa di Col Vetoraz
Provocazione o scelta coraggiosa? Questione di punti di vista. Rimane indiscussa la valenza eclatante dell'annuncio pubblico diramato da Col Vetoraz: la rinuncia definitiva al termine prosecco, prediligendo invece “Valdobbiadene DOCG” per packaging, etichette e comunicazione.
«Una scelta coraggiosa, pienamente consapevole pur se non facile, che Col Vetoraz persegue a partire dalla vendemmia 2017 - dichiarano dall'azienda di Valdobbiadene –. Con un obiettivo chiaro e significativo: rimarcare il valore della propria identità territoriale e diffondere un messaggio chiave che, ora più che mai, diventa necessario far arrivare al pubblico di consumatori italiano ma anche estero».
L'intento radicale è di marcare la differenza rispetto al mare magnum del Prosecco. «Noi produciamo ciò che siamo – affermano con orgoglio - e in ogni calice di spumante si trovano tutte le nostre radici, di una terra che ci ha visto nascere ed evolvere». E la nota diramata prosegue con toni critici: «Quella delle colline del Conegliano Valdobbiadene è una storia secolare che improvvisamente, nel 2009, ha ricevuto un violento scossone. Per una scelta esclusivamente di natura politico-economica, Prosecco da quel momento non è più la vite che ottocento anni fa ha trovato qui dimora ideale, ma è diventata una denominazione estesa su nove province tra Veneto e Friuli. Territori privi di storia, dove la coltivazione della vite non è tramandata di generazione in generazione dalla sapienza dei vecchi, ma ha assunto una visione prettamente industriale».
Identità perduta
Secondo Col Vetoraz questa evoluzione ha generato «una situazione caotica», nella quale la distinzione tra “prosecco” (vino prodotto nei territori della Doc creata nel 2009) e “prosecco superiore” (vino storicamente prodotto sulle colline di Valdobbiadene e Conegliano) non sarebbe sufficiente per «trasmettere in modo chiaro una precisa identità».
«Oggi la parola prosecco è diventata generalizzante, col rischio reale di banalizzare e cancellare la secolare storia e vocazione delle colline di Valdobbiadene e Conegliano – chiosa dunque la cantina -. L'azione intrapresa parte proprio da questo concetto, a difesa di un'identità territoriale unica e non confondibile, costruita in anni di lavoro scrupoloso e appassionato, di ascolto e adattamento ai cicli naturali puntando all'eccellenza». E aggiunge: «Nel corso dei secoli queste colline sono state aggraziate dal lavoro modellante dell'uomo, che ha saputo disegnare la tessitura di un paesaggio incantato. Da questa terra eletta, oggi Patrimonio UNESCO, originano vini gentili, veri signori del benvenuto, complici di indimenticabili momenti di condivisione e interpreti perfetti della natura intrinseca del Valdobbiadene Docg».
La stoccata alla Doc
La critica di Col Vetoraz è rivolta senza mezzi termini al rischio omologazione derivato dall'enorme, rapidissimo successo del Prosecco Doc. E su questa linea la cantina riprende le obiezioni della Confraternita. Il punto di congiunzione è Loris Dall'Acqua, enologo-socio in Col Vetoraz e gran maestro della Confraternita, firmatario di una lettera consegnata ai 2.640 produttori nel territorio della Docg.
Nella missiva si parte da un'indagine curata da SWG sulla percezione della Conegliano Valdobbiadene, secondo la quale il 55% degli intervistati non distingue la denominazione e il 75% beve indifferentemente qualsiasi Prosecco, senza discriminazione.
«Ci troviamo in un momento di grande confusione – scriveva il gran maestro a fine luglio - dove la massa critica del prosecco generico, nei confronti del Conegliano Valdobbiadene, è diventata soverchiante e sta portando ad una sempre minore distinzione e conseguente perdita di percezione della nostra denominazione». Secondo la Confraternita infatti la denominazione Conegliano Valdobbiadene starebbe perdendo forza e identità, con una spinta verso la fusione dei consorzi di tutela, e rimarca come l'ambiziosa candidatura Unesco sia stata intitolata semplicemente “le colline del Prosecco”.
La prudenza del Consorzio
La scelta di Col Vetoraz «è pienamente legittima», conferma il presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Innocente Nardi, dato che il disciplinare prevede la possibilità di non riportare la dicitura “Prosecco Superiore”.
«È una scelta aziendale coerente con il disciplinare che come Consorzio rispettiamo e non commentiamo», dichiara Nardi. E diplomaticamente aggiunge: «Siamo consapevoli e parte attiva nella riflessione che nasce nel nostro territorio sulla necessità di come proteggere l'identità. Il successo del nome Prosecco nasce dalle persone che hanno lavorato su queste colline. Credo che oggi la cosa più importante sia far arrivare al consumatore il senso della differenza tra un prodotto di qualità, ma frutto di un territorio pianeggiante, e la specificità della produzione in collina con costi e attenzioni nettamente differenti».
Il presidente prende tempo, evidenziando come oggi il 92% delle bottiglie di Conegliano Valdobbiadene sul mercato riporti la dicitura “Prosecco Superiore” ed eventuali scelte per il futuro debbano coinvolgere 3.300 viticoltori e 180 imbottigliatori. «Portando sul mercato 90 milioni di bottiglie abbiamo la necessità di non creare confusione e smarrimento nel consumatore – precisa Nardi – e non può essere un'azione repentina. Se infatti in Italia c'è una maggiore consapevolezza della differenza, è probabilmente prematuro pensare di confrontarsi con un mercato importante come ad esempio gli Usa, che pure conosce le bollicine, rinunciando al nome del “Prosecco superiore”. Certo, rimane la necessità di educare».
Coldiretti: “Dopo le polemiche, apriamo un tavolo di confronto”
La discussione dei giorni scorsi sull'opportunità di rimuovere il nome Prosecco dalle bottiglie Docg, assunta da alcune aziende dell'area Conegliano Valdobbiadene, “è un tema molto delicato che vorremmo affrontare con tutte le parti coinvolte”. Lo ha detto il presidente di Coldiretti Treviso, Giorgio Polegato, a margine dell'avvio dellav endemmia nelle zone patrimonio Unesco. “Evidentemente la Docg sta soffrendo - riconosce Polegato - e la provocazione lanciata in questi giorni ha una radice tutt'altro che banale”. Ha invitato perciò formalmente “i consorzi di tutela, la Confraternita Conegliano Valdobbiadene e le associazioni agricole” a un tavolo per cercare rapidamente una soluzione ed evitare che questo ricada sulle iniziative che tutte le parti dovranno concordare per valorizzare il riconoscimento ottenuto dall'Unesco.
Export record per il primo semestre
Intanto non si ferma il boom dell'export del Prosecco. Secondo Coldiretti nel primo semestre del 2019 l'export ha toccato il valore record di 458 milioni di euro. Di particolare significato il dato della Francia, dove l'aumento è del 50%. I dati di Coldiretti su base Istat arrivano in occasione della raccolta del primo grappolo di uva Glera dell'anno per il Prosecco nella Tenuta Astoria a Refrontolo (Treviso). Con un aumento del 17% delle esportazioni il Prosecco conquista nel 2019 il primato di vino italiano più consumato all'estero grazie all'alta qualità e capacità produttiva con le pregiate bollicine che – sottolinea la Coldiretti – sono protagoniste di un exploit in Usa.
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