Proteine alternative: «Prodotti ingannevoli che minacciano i pilastri del made in Italy»
Coldiretti, Confagricoltura, Federalimentare, Assolatte e Assocarni respingono gli attacchi alla zootecnia italiana sulla sostenibilità
di Giorgio dell'Orefice
4' di lettura
La zootecnia italiana non ci sta a restare sul banco degli imputati e respinge colpo su colpo le accuse e le responsabilità che, ormai da qualche anno e con continuità, le vengono mosse. Accuse che riguardano il proprio impatto ambientale e che non tengono conto degli sforzi e degli ingenti investimenti effettuati negli anni e lungo la filiera per migliorare i parametri di sostenibilità green. Senza dimenticare le accuse sul piano alimentare che puntano il dito contro l’eccessivo consumo di carne e che non tengono conto dei differenti stili di vita (in Italia il consumo pro capite di carne ammonta a circa 50 chilogrammi contro i 150 degli Stati Uniti) mettendo così in discussione un pilastro dell'alimentazione che da secoli – tra carne, latte e derivati – rappresenta per i consumatori la fonte primaria di proteine nobili.
Allevatori, trasformatori, industriali delle carni e del settore lattiero caseario respingono quindi il ricorrente fuoco di fila di critiche che lasciano prefigurare per il comparto una parabola simile a quella vissuta anni fa dal settore della pesca europea che ha portato una sostanziale dismissione e la conseguente copertura dei fabbisogni con le importazioni. Per carne e latte occorrerebbe quindi ricorrere ad acquisti dall’estero (spostando solo di latitudine il presunto impatto ambientale) oppure a prodotti sostitutivi (da hamburger, bistecche e “latti vegetali” fino alla carne sintetica) realizzati da multinazionali del food e della farmaceutica, che promettono benefici sul piano della salute umana e della sostenibilità ambientale tutti da dimostrare.
Senza dimenticare i valori economici in campo. La zootecnia italiana nel complesso vanta un giro d’affari di oltre 46 miliardi di euro (10 circa ciascuno tra allevamento e trasformazione industriale per i settori bovino, suino e avicolo ai quali vanno aggiunti i 16,5 miliardi del comparto lattiero caseario). Aspetto quest’ultimo che pone un fondamentale tema di sostenibilità economica viste le pesanti ricadute di fatturato e occupazionali che una crisi della zootecnia comporterebbe.
«La zootecnia italiana – commenta il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – vanta dati sulle emissioni inferiori alla media europea e del 50% più bassi di quella globale. E questo grazie a grandi investimenti effettuati in Italia per rendere le stalle più efficienti e sulla produzione di biogas e biometano. In secondo luogo, non è vero che i prodotti ultraprocessati che vengono proposti come sostitutivi di latte e carni, siano neutrali sotto il profilo ambientale perché per essere realizzati richiedono grandi quantità di energia e di acqua. Infine, la sostituzione di carne e latte con i loro aspiranti succedanei può produrre conseguenze devastanti sui territori, privando intere aree di un importante presidio e distruggendo un’economia che sostiene in Italia migliaia di famiglie».
«L’attacco alla sostenibilità del cibo naturale è una grande fake news – aggiunge il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – qualsiasi prodotto agricolo è legato alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente. Pensiamo alla circolarità e alla produzione di energia rinnovabile che molte aziende zootecniche hanno realizzato partendo dagli scarti di lavorazione. Un processo difficilmente replicabile da altri settori. In più preoccupa la destrutturazione produttiva all’orizzonte in Europa che rischia di scollegare la produzione dai territori e promuovere il cibo sulla base di diete globali».
«Secondo diversi studi – argomenta il presidente di Assocarni e consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia – le strategie Ue Green Deal e Farm to Fork porteranno a un calo della produzione europea di latte e carne fino al 30% in un frangente nel quale la domanda mondiale di proteine nobili animali sta crescendo. Si rischia quindi di spostare la produzione verso altre aree del mondo con standard ambientali e qualitativi inferiori ai nostri. Poi c'è il tema della mistificazione nei confronti del consumatore al quale ci si propone di vendere come “carne pulita'”un prodotto realizzato in laboratorio prelevando da una vacca gravida e senza anestesia liquido amniotico che viene processato in un brodo antibiotico all’interno di un bioreattore. Questa sarebbe la “naturalità”? Il consumatore è libero di nutrirsi come vuole, ma che almeno venga riportato in etichetta come questi prodotti sono realizzati per garantire una competizione ad armi pari».
«C’è innanzitutto un problema di uso corretto dei termini – spiega il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti – le parole latte, burro, formaggio, yogurt in Europa sono riservate al comparto lattiero caseario. Soprattutto perché molti prodotti vegetali somigliano, per aspetto, ai nostri. È fondamentale, quindi, che i nomi siano distinti. Anche perché dal punto di vista nutrizionale, tra i due settori, ci sono enormi differenze. Secondo tutti i principali nutrizionisti, infatti, per l’apporto di proteine ad elevato valore biologico e di calcio biodisponibile il latte non può essere sostituito da alcun derivato vegetale. Non è un caso che nei paesi in cui stanno crescendo i consumi di latte, come la Cina, ad esempio, le condizioni di salute della popolazione sono enormemente migliorate».
«I pilastri del made in Italy alimentare sono da tempo sotto attacco – dice il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio – e ora è la volta della zootecnia. Ma come è avvenuto con il Nutriscore (etichetta a semaforo, ndr), per il quale qualcosa sta cambiando grazie alla grande coesione mostrata dal mondo delle imprese insieme al Governo e al Parlamento, mi auguro che anche quest’offensiva possa essere respinta. Ma è importante non abbassare la guardia».
loading...