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Pugni e calci alla moglie, la Corte d'appello assolve: «Colpa della gelosia di lei». La Cassazione bacchetta i giudici

Esclusi in appello i maltrattamenti. Per la Cassazione una sentenza che legittima la violenza dell’uomo

di Patrizia Maciocchi

(releon8211 - stock.adobe.com)

4' di lettura

Schiaffi e pugni alla convivente, incinta, minacce di morte, mobili sfasciati e insulti, considerate ordinarie liti in famiglia, frutto della reazione alla gelosia di lei. Per la Corte d’Appello, che ha escluso i maltrattamenti per l’assenza di una «sistematica sopraffazione», i pestaggi erano il risultato di un rapporto altalenante la cui responsabilità era proprio della persona offesa morbosamente gelosa. La colpa della donna sarebbe stata quella di fare spesso domande, dopo aver saputo che il compagno era già padre di un figlio di 12 anni. Indagini che l’uomo non gradiva e alla quali reagiva con violenza.

Le colpe di lei: domande indiscrete e no ai rapporti sessuali

La stessa che usava quando lei si rifiutava di aver con lui rapporti sessuali, fino a costringerla ad andare via di casa con il figlio poco più che neonato, che lui non aveva più cercato. La Corte d’Appello esclude le condotte vessatorie e si concentra sulle colpe della vittima, gelosa e fredda nei rapporti. I giudici territoriali escludono il reato, inquadrando il tutto nell’ambito di una «relazione interpersonale molto turbata». Alla Cassazione, che annulla ai fini civili, non resta che correggere la rotta, e bacchettare i giudici di appello, destinatari di una lezione di diritto e di logica. Il primo chiarimento riguarda l’assenza di una «sistematica sopraffazione», elemento non indispensabile nei maltrattamenti. La violenza domestica c’è, infatti, quando le aggressioni sono commesse «anche in un limitato arco temporale e nonostante periodi pacifici».

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La violenza domestica

È quanto si ricava da un quadro normativo che ha uno dei suoi pilastri nella Convenzione di Istanbul. Uno strumento sovranazionale destinato a tutelare le donne contro qualsiasi forma di violenza, che è da sempre volano per creare una sudditanza di genere. Mentre vivere liberi è un diritto fondamentale, per la donna come per l’uomo. Partendo da questa premessa la Cassazione considera inammissibile l’interpretazione limitativa della sentenza impugnata che confina il reato di maltrattamenti solo ai casi di sistematica violenza, senza tra l’altro indicare in cosa debba consistere sistematicità e che cadenza dovrebbe avere.

Per la Corte il disegno discriminatorio che guida gli autori del reato di violenza contro le donne «è costituto dal deliberato intento di possesso, dominazione e controllo della libertà femminile per impedirla».

La differenza con le ordinarie liti in famiglia

Consapevole di questo, il giudice deve dunque valutare non solo gli episodi che considera più gravi, perchè colpiscono il corpo o costituiscono reati specifici ma «diversamente da quanto avvenuto nella sentenza impugnata deve valorizzare e descrivere, in modo puntuale, innanzi tutto il contesto diseguale di coppia in cui si consuma la violenza, anche psicologica, praticata dall’autore e il clima di umiliazione che impone alla vittima per lederne la dignità». La Corte d’Appello ha invece trasformato le aggressioni unilaterali in liti familiari normalizzando le minacce, le violenze fisiche i danneggiamenti ecc. Ha reso giuridicamente legittime, nell’ambito di una relazione, la sopraffazione l’umiliazione e la discriminazione. Ha “sdoganato” un sitema punitivo dell’uomo contro la disobbedienza

Una confusione tra maltrattamenti e liti ordinarie che è possibile solo quando si considera un dato neutro l’asimmetria, di potere e di genere che esiste nella coppia o nel contesto familiare. Nel caso esaminato la denigrazione della donna, la sua pubblica mortificazione con ingiurie gravi, le aggressioni subìte con pugni e calci, la limitazione della sua libertà nel chiedere chiarimenti al compagno, sono state normalizzate in quanto mero conflitto tra pari. Un verdetto, precisa la Cassazione, in contrasto anche con l’articolo 3 della Costituzione che impone un piano di parità per uomini e donne, per dignità e libertà: diritti fondamentali che non possono subire lesioni, neanche occasionali «o essere n qualche modo giustificabili in base a costrutti sociali fondati sull’accettazione della disparità di genere».

Nessun dubbio sulla differenza tra lite e maltrattamento. La violenza avviene sempre e solo su un piano inclinato a favore dell’autore, che è il solo a trarne vantaggio. Diversa la conflittualità di coppia che nasce si sviluppa su un piano di parità, «in cui i protagonisti si riconoscono reciprocamente come soggetti autonomi, dotati di dignità e libertà, e gli esiti del contrasto sono alterni, non prevedibili e tali da non ingenerare mai la paura nell’altro».

Legittimati pestaggi e umiliazioni

La Corte d’Appello ha addossato la responsabilità delle violenze subìte alla persona offesa colpevole di voler sapere se il convivente avesse un altro figlio, considerando questa pretesa il frutto di una estrema gelosia. Per la Cassazione è una vera e propria distorsione logico-giuridica grazie alla quale è stato legittimato il sistema punitivo dell’uomo. Vessazioni e umiliazioni contro la donna che aveva disobbedito all’ordine di non fare domande e non era disponibile ai rapporti sessuali. Un’inversione delle responsabilità accertate su violenze, minacce, umiliazioni ecc, con la quale la sentenza mette in atto una forma di vittimizzazione secondaria nei confronti della vittima, vietata dalla Convenzione di Istambul. La Suprema corte ricorda che la giurisprudenza interna e sovranazionale ha ammonito sul punto l’Autorità giudiziaria e italiana. Nelle motivazioni non vanno usate parole colpevolizzanti e moralistiche che potrebbero far perdere alla vittima la fiducia nella giustizia. Speranza di giustizia che la Cassazione restituisce alla donna, parte civile nel processo, accogliendo il suo ricorso, ai fini civili, contro un verdetto più che mai fuori luogo in tempi in cui le donne sono sempre più vittime di uomini violenti.

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