Putin alza il tiro: il suo obiettivo è l’intera regione del Donbass. Blinken annulla vertice con Lavrov
Il presidente russo si è fatto autorizzare l’invio di truppe all’estero: «Il riconoscimento riguarda i confini amministrativi dell’intera regione di Donetsk e Luhansk».
di Antonella Scott
4' di lettura
A quanti km dal confine si può iniziare a parlare di invasione? Fin dove intendono arrivare i russi in Ucraina? Vladimir Putin non si fermerà a Donetsk e Luhansk.
Lunedì 21, la decisione di riconoscere le regioni separatiste del Donbass ucraino aveva distrutto ogni speranza di una soluzione concordata della crisi. Ma il giorno dopo, martedì, la portata di quanto successo è rimasta per qualche tempo in sospeso: un conto è legittimare la sovranità dei filorussi nei territori che di fatto controllano da otto anni, uscendo allo scoperto rispetto a una presenza militare non ammessa apertamente ma data per scontata da tutti.
Promessa di guerra
Diverso è riconoscere le rivendicazioni dei separatisti sull’intero Donbass, avanzando pretese su quel 70% delle due oblast’ rimaste in mani ucraine. Nel primo caso si sarebbe potuto ipotizzare per il prossimo futuro il proseguimento di un conflitto congelato. Il secondo invece è una promessa di guerra. E Putin l’ha fatta.
Ha sciolto ogni dubbio al riguardo al termine di una conferenza stampa convocata al Cremlino per commentare l’ennesimo colpo di scena: l’approvazione all’unanimità al Consiglio della Federazione - la Camera Alta richiamata all’improvviso in aula verso sera - della richiesta del presidente russo di inviare l’esercito oltre confine. Dove, ha chiarito Putin rispondendo alle domande dei giornalisti accreditati, «in caso di necessità rispetteremo gli impegni presi».
E alla richiesta di chiarire i confini del riconoscimento concesso, Putin ha indicato quelli previsti dalle costituzioni delle due repubbliche separatiste. Territori controllati dall’esercito di Kiev.
Blinken annulla vertice con Lavrov
Ora anche la Casa Bianca e la Nato parlano apertamente di “invasione”. «La Russia ha appena annunciato che si sta strappando via un grosso pezzo di Ucraina - ha denunciato martedì sera il presidente Joe Biden -. Questo è l’inizio di un’invasione: le forze russe potrebbero marciare su Kiev». E il segretario di Stato Blinken ha cancellato il vertice bilaterale con il ministro degli Esteri russo Lavrov previsto per giovedì a Ginevra. «Non ha senso» dopo le mosse del Cremlino, ha detto.
«È il momento più pericoloso per la sicurezza europea da generazioni», avverte il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg, aggiungendo che «ogni segnale indica che la Russia prosegue a pianificare un attacco su larga scala». Chiediamo a Mosca di fare un passo indietro, ha insistito Stoltenberg: «Non è troppo tardi per non attaccare».
Ma nell’universo disegnato lunedì dal presidente russo, in cui l’Ucraina ha diritto di esistere come Stato solo nell’unità con i “fratelli di sangue” russi, ogni accusa è fondata, ogni pretesa è legittima. Se ha senso immaginare ancora un confronto diplomatico, si troverebbe di fronte nuove richieste rivolte alle autorità ucraine, colpevoli di aver distrutto il percorso negoziale degli Accordi di Minsk.
L’Ucraina, ha sentenziato il presidente russo, dovrebbe essere neutrale e demilitarizzata: «La cosa migliore che possano fare è rinunciare spontaneamente alla Nato». Per approntare un arsenale di armamenti nucleari, sostiene ora Putin come fosse questione di giorni, a Kiev manca «solo un aspetto tecnico, il sistema di arricchimento dell’uranio». E poi diventerebbe «una minaccia strategica» da «gestire nel modo più serio». Parole in linea con quelle con cui Putin aveva concluso il proprio discorso lunedì sera: «L’aggravarsi delle minacce contro la Russia le dà il diritto di intraprendere misure adeguate per garantire la propria sicurezza».
Oltre a far ratificare ai due parlamenti regionali, alla Duma e al Consiglio della Federazione, quelli che chiamano “Accordi di amicizia e cooperazione” con Donetsk e Luhansk, Putin tesse la tela delle alleanze con i Paesi della Csto, l’Organizzazione di sicurezza collettiva di cui fanno parte tra gli altri Bielorussia, Armenia e Kazakhstan. Martedì inoltre ha incontraro al Cremlino Ilham Aliyev, il presidente azero, con cui ha firmato una dichiarazione di «cooperazione alleata».
«Dormite tranquilli»
A Kiev, la prima reazione del presidente Volodymyr Zelenskyj alla notizia del riconoscimento di Mosca a Luhansk e Donetsk è stato un discorso con cui lunedì notte ha cercato di rassicurare i connazionali: «Non avete motivo di non riuscire a dormire stanotte, noi non abbiamo paura di niente e di nessuno. Questa è la nostra terra». Nella serata di martedì tuttavia ha annunciato al Parlamento di voler richiamare una parte dei riservisti dell’esercito.
Più tardi, a fianco del presidente estone Alar Karis, Zelenskyj si è detto ancora convinto che non ci sarà un’ulteriore escalation: in caso contrario è prevista l’introduzione nel Paese della legge marziale. Rinnovando alla Russia l’invito a risolvere la crisi nel dialogo, Zelenskyj ha ribadito che non intende parlare con i leader separatisti, che Kiev non riconosce: «Non capiamo chi siano».
Il presidente valuterà la richiesta di troncare le relazioni diplomatiche con Mosca, che in serata intanto ha annunciato il rientro dall’ambasciata a Kiev del proprio personale diplomatico, divenuto obiettivo di «minacce fisiche». Di nuovo, un’eco degli avvertimenti lanciati da Putin: se Kiev non ferma le violenze, sarà responsabile del conseguente bagno di sangue. Ma intanto, è ucraino il soldato rimasto ucciso martedì, oltre a sei feriti, in un bombardamento delle milizie separatiste nella regione di Luhansk. Ed è da Belgorod, in Russia, che testimoni citati da Reuters hanno segnalato martedì sera un convoglio militare, composto da più di cento automezzi, dirigersi verso il confine ucraino.
loading...