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Qatar a caccia d’immobili, già investiti in Italia 5 miliardi

L’intervista ad Ahmed Al-Hammadi, chief investment officer Europe, Qatar Investment Authority (socio di maggioranza del quartiere di Porta Nuova a Milano) spiega quale è la visione strategica e quali sono le scelte operative del fondo sovrano qatariota sul fronte degli investimenti immobiliari

di Laura Cavestri

(franco ricci - stock.adobe.com)

3' di lettura

«Quando decidiamo di investire su un progetto, non lo facciamo in ottica di Paese ma di ecosistema. Ovvero, valutiamo la sua capacità di rispondere ai più elevati standard ambientali, di avere un impatto positivo sulla città in cui si innesta e di generare “valore”, su un lungo periodo, almeno 20 anni». Per la prima volta a un quotidiano italiano, Ahmed Al-Hammadi, Chief Investment Officer Europe di Qia – la Qatar Investment Authority – spiega quale è la visione strategica e quali sono le scelte operative del fondo sovrano qatariota, soprattutto in una fase di tensione geopolitica, costo dell’indebitamento in crescita, inflazione e, per molti Paesi, anticamera della recessione.

All’inizio – era il 2006 – fu l’hotel milanese, Excelsior Gallia, a segnare l’esordio degli investimenti qatarioti nel Real estate, in Italia. Uno shopping a 5 stelle proseguito a: Venezia (The Gritti Palace), Roma (St. Regis, Excelsior), Firenze (Baglioni e Four Season), oltre ai quattro compresi nel «pacchetto Costa Smeralda» con il Cala di Volpe. Da ricordare l’acquisizione, dalla Starwood, del Westin Excelsior di Roma per oltre 220 milioni.

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Nel febbraio 2015, il fondo sovrano dell’Emirato ha acquistato il quartiere di Porta Nuova a Milano. E ad aprile scorso l’annuncio dell’Opa sulla totalità delle azioni ordinarie di Coima Res Siiq, da parte di Evergreen, società per azioni italiana che fa capo per il 97% del capitale a Qatar Holding.

Un pacchetto immobiliare – quello del fondo sovrano del Qatar – che si attesta, complessivamente, in Italia, attorno ai 5 miliardi di euro.
«L’asset allocation – spiega Al- Hammadi – è costituita da un circa 70% di office, poco meno del 20% di hospitality e un 10% circa di residenziale. Percentuali simili si riflettono nell’asset class allocation europea. Gli uffici, la dimensione dell’hotellerie e l’ampio comparto residenziale restano per noi gli asset maggiormente strategici. In alcuni Paesi, come Germania, Francia e Regno Unito, cresce anche il nostro interesse per la logistica, soprattutto Last Mile».

E in Italia? «Al momento – spiega Al-Hammadi – non abbiamo annunci imminenti di nuove operazioni. Tuttavia, monitoriamo costantemente il mercato italiano soprattutto attraverso il nostro partner, che è Coima, e che rappresenta un po’ “i nostri occhi e le nostre orecchie” sul Paese».

Quanto preoccupano, un investitore straniero, le difficoltà di contesto economico, in Italia e in Europa, e l’instabilità politica che ci contraddistingue?
«Per la verità – prosegue Al-Hammadi – i fattori macroeconomici non sono l’unico fattore determinante nel nostro processo decisionale. Sono da monitorare, certamente, ma non determinano le nostre valutazioni, che sono sempre legate a una visione di lungo periodo. A differenza di chi opera nel private equity, che ha un’ottica di breve periodo – e che è quindi attento al quadro contingente – per noi sono importanti la stabilità del quadro giuridico, così come la capacità di interagire con le pubbliche autorità su progetti che hanno un respiro ampio, almeno 15-20 anni, e si innestano sulla più elevata qualità di costruzione, su piena efficienza e sostenibilità ambientale, su tecnologia e connessione con le infrastrutture. Non a caso, al di fuori dell’immobiliare, c’è una strategia di crescita significativa sul comparto delle energie rinnovabili».

Tre settimane fa, Qia ha annunciato un accordo per investire 2,43 miliardi di euro nella multinazionale tedesca dell’energia rinnovabile Rwe Ag. Ma esiste, oggi, un quadrante in cui è possibile fare investimenti?
«Sull’atlante del mondo non vi sono Paesi in cui l’investimento sia più agevole – ha concluso Al-Hammadi –. Anche la recente acquisizione di 32 asset residenziali in Giappone non dimostra che lì convenga investire più che altrove. Ma solo che si è creata un’opportunità da cogliere. Nessun Paese è fuori dai nostri radar».

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