AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùL’EMERGENZA SANITARIA

Qual è l’impatto di un rialzo dello spread da paura dei contagi

Ha ripreso a salire il differenziale tra il rendimento dei Btp decennali e gli omologhi Bund tedeschi, termometro sull' “affidabilità” del Paese nei confronti dei suoi creditori

di Dino Pesole

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4' di lettura

Un segnale, per ora contenuto e dalle conseguenze non allarmanti, ma comunque da non sottovalutare. La nuova ondata dei contagi, che sta spingendo diversi Paesi (a partire da Francia e Germania) a inasprire le misure restrittive fino al lockdown (se pur diversamente modulato rispetto alla scorsa primavera) trasferisce sui mercati e sui listini azionari il sentimento di incertezza che attraversa l'intera Europa e investe anche gli Stati Uniti a pochi giorni dal decisivo responso delle elezioni presidenziali.

E lo spread, l'indicatore che misura il differenziale tra il rendimento dei Btp decennali e gli omologhi Bund tedeschi (una sorta di termometro sull' “affidabilità” del Paese nei confronti dei suoi creditori e degli investitori più in generale), ha ripreso a salire fino a toccare i 140 punti base in apertura della seduta del 28 ottobre, per poi flettere nella seduta successiva attorno ai 134 punti base. Nulla di allarmante, data la situazione, ma comunque occorre registrare che il 12 ottobre si era scesi nei dintorni dei 120 punti base, un livello di discreta sicurezza.

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L'attesa dei mercati

Non è una sorpresa registrare incertezza e fibrillazione da parte dei mercati, di fronte alla prospettiva che le tre economie più grandi d'Europa stiano per adottare (nel caso della Francia è già avvenuto) misure restrittive che riportano indietro le lancette degli orologi al marzo-aprile di quest'anno. L'impatto dei nuovi confinamenti e chiusure sulle rispettive economie è fin d'ora da mettere nel conto. Prima che la curva dei contagi riprendesse a impennarsi, l'attesa era che dopo il “rimbalzo” del terzo trimestre si potesse ipotizzare una fine d'anno all'insegna della ripresa. Se a segnare il passo sono calibri da novanta come Germania e Francia, seguiti a ruota da Italia e Spagna, tutto ciò non può che ingenerare timori presso gli investitori. Lo attesta l'andamento dei corsi azionari, con le Borse europee che dallo scorso 9 ottobre hanno perso in media l'8,56%, con Milano a -8,66 per cento.

I timori sull'aumento del debito e il crollo del Pil

Per quel che riguarda lo spread, e gli effetti sul nostro Paese, certamente vi è da mettere nel conto l'abnorme aumento del debito pubblico che in seguito alle misure disposte da marzo in poi e del crollo del Pil (-9% secondo l'ultima stima del Governo) volerà quest'anno al 158% del Pil, 23 punti percentuali in più rispetto alla situazione pre-Covid. Timori cui è possibile far fronte perché a garantire la piena sostenibilità del nostro debito pubblico nel breve termine è in campo la Bce con il suo bazooka da oltre 1.300 miliardi messo in campo per l'Eurozona attraverso i diversi strumenti di politica monetaria di cui dispone, primo tra tutti il Quantitative easing. A rassicurare i mercati vi è poi senza dubbio la certezza che l'ombrello protettivo di Francoforte continuerà a dispiegare i suoi effetti almeno per buona parte (se non per tutto) il 2021. Pur tuttavia, occorre mantenere alto il livello di guardia, perché comunque avere a che fare con un debito di queste proporzioni espone il nostro paese a rischi evidenti. Ora occorrerà verificare se, con il probabile mutamento di scenario, possano ancora essere considerate valide le stime sulla crescita che nel 2021 (nello scenario più favorevole) avrebbe dovuto registrare un incremento del 6 per cento.

L'andamento della spesa per interessi

Sul versante della spesa per interessi, si fa conto sui 5,5 miliardi in meno attesi nell'arco di 15 anni grazie all'attivazione dei 27,4 miliardi del Fondo Sure (il programma di aiuti previsto dalla Commissione Ue per attenuare i rischi di disoccupazione causati dalla pandemia). Risparmi che andrebbero ad aggiungersi ai 5 miliardi in meno in 10 anni qualora il Governo decidesse di ricorrere alla nuova linea di credito “senza condizionalità” del “Mes pandemico” e ai circa 1,3 miliardi l'anno che sarebbero garantiti dal Recovery Fund. Stando al quadro previsionale contenuto nella Nota di aggiornamento al Def, grazie al basso livello dei rendimenti sui titoli di Stato correnti e previsti (secondo la metodologia abitualmente utilizzata nelle proiezioni ufficiali), «i pagamenti per interessi si ridurrebbero lievemente in termini assoluti nel 2021-2022, per poi aumentare di poco nel 2023». In rapporto al Pil, si registrerebbe una diminuzione dal 3,5% del 2020 al 3,3% del 2021, per poi flettere leggermente al 3,2% nel 2022 e nel 2023. È una variabile decisiva, in un contesto di finanza pubblica che comunque vedrà il deficit di quest'anno attestarsi in una forbice tra il 10,4 e il 10,8%.

E ancora una volta occorre segnalare che per garantire un percorso di piena sostenibilità delle variabili di finanza pubblica l'indicatore chiave resta la crescita. Quindi, con tutte le incognite legate a un contesto come l'attuale dominato da un altissimo livello di incertezza, occorre utilizzare tutte le risorse disponibili (una volta trascorsa l'emergenza) al sostegno della produttività e della crescita nel suo insieme. Per questo, l'appuntamento con i fondi europei del Next Generation EU va sfruttato a pieno attraverso la predisposizione di progetti chiari e ben definiti con tempi certi di realizzazione. Da quanto è possibile desumere dall'attuale contesto, tassi di crescita degni di questo nome difficilmente potranno essere conseguiti prima del 2022. Ma occorre preparare il terreno fin d'ora.


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