Criptovalute

Quali norme regolano i criptoasset?

Vediamo qual è, a livello globale, lo stato dell’arte della normativa e in particolare in Europa

di Vittorio Carlini

(Andrii - stock.adobe.com)

3' di lettura

Da un lato il bitcoin e la criptoeconomia, per la loro stessa natura digitale, sono globali. Dall’altro gli Stati, sul fronte normativo, finora fanno da soli. Può definirsi così lo stato dell’arte delle normative sul bitcoin. Non esiste infatti, ad eccezione delle norme sull’anti-riciclaggio, una visione complessiva dal punto di vista della legge. La Cina, ad esempio, ha emesso diversi provvedimenti fortemente restrittivi rispetto all’uso dei criptoasset. Gli Stati Uniti, invece, fino ad oggi hanno un approccio pragmatico: lasciano sviluppare il business. Dopo Coinbase, quotata a Wall Street, è arrivato il primo Etf (su criptoderivati) scambiato al Nyse.

In generale un simile contesto crea non pochi problemi all’investitore retail. Un esempio? L’arbitraggio normativo. Vale a dire: alcuni Stati possono emettere delle leggi più favorevoli di quelle presenti in altri Paesi. È chiaro che una piattaforma centralizzata di scambi di criptoasset (exchange) sarà invogliata a privilegiare, al fine della sua domiciliazione legale, lo Stato dove le norme sono a lui meno ostili. Con il che l’investitore, a fronte di un’eventuale truffa, può trovarsi a combatte legalmente un Exchange che, da un lato, ha pochi (o quasi nulli) obblighi nei suoi confronti; e, dall’altro, si trova in una giurisdizione dove sarà difficile dare esecuzione all’eventuale sanzione.

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Detto ciò: quale la situazione in Europa? L’Unione Europea, anche per raggiungere proprio un’armonizzazione tra le diverse giurisdizioni, punta alla legge sovranazionale. La Commissione Europea, nel 2020, ha presentato il cosiddetto Digital Finance Package: un progetto di norme a supporto dell'innovazione digitale e della digitalizzazione della finanza.

Quest'impostazione si muove lungo due linee strategiche: la Retail Payments Strategy e la Digital Finance Strategy. Proprio all'interno di quest'ultima avanza (seppure, a detta di diversi esperti, lentamente) il progetto di regolamento comunitario (MiCa) che, quando entrerà in vigore (presumibilmente nel 2024), dovrebbe rappresentare un provvedimento ad hoc sul fronte delle cryptocurrency.

In linea di massima, rispetto ai contenuti della proposta, può ricordarsi che: il regolamento si applica agli “emittenti” e ai “fornitori di servizi” per i criptoasset e fissa obblighi uniformi in materia di trasparenza e informativa in relazione all'emissione, funzionamento, organizzazione e governance degli operatori; inoltre prevede delle misure a tutela dei consumatori per prevenire abusi di mercato.

Poi stabilisce espressamente che la norma non si applica ai criptoasset assimilabili a strumenti finanziari. Questi (security token) continueranno ad essere regolati dalle già esistenti leggi sulla finanza. In generale, quindi, finiranno sotto l'ombrello del nuovo regolamento i cosiddetti payment token (cui possono ricondursi le stable coin) e gli utility token (criptoasset che legittimano, a chi ne è in possesso, di ricevere, a titolo gratuito od oneroso, un bene o un servizio).

Va detto che, da una parte, esperti ed istituzioni valutano positivamente la definizione di una norma Ue la quale armonizzi e aumenti la certezza del diritto in materia di criptoasset e servizi annessi. Certo: bitcoin&co, essendo per loro stessa natura transnazionali, richiederebbero un approccio totalmente globale. E, tuttavia, già la sola condizione che la norma potrà direttamente applicarsi, in quanto regolamento, a 27 giurisdizioni di un’area rilevante qual è il Vecchio Continente è considerato un passo importante.

Dall'altra parte, però, gli operatori del settore (soprattutto quelli nativi della cryptoeconomy) chiedono a gran voce che l’evoluzione legislativa non rappresenti un freno all’innovazione.

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