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Quando fa bene mettere in discussione il proprio successo

Il manager “campione” riesce a vedere le proprie debolezze anche quando vince

di Lorenzo Cavalieri*

(AFP)

3' di lettura

Occupandomi di formazione manageriale e coaching sono alle prese tutti i giorni con la disponibilità delle persone a mettersi in discussione per migliorare.

Per un adulto è molto complicato dedicarsi al perfezionamento professionale attraverso la formazione o il coaching, soprattutto quando ha alle spalle anni di esperienza e soddisfazioni conclamate: «Lo faccio da anni, lo faccio con successo, perché mai dovrei tornare sui banchi di scuola per cambiare questo o quell'aspetto del mio modo di lavorare?».

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Il bisogno di formazione non nasce da un deficit

È un meccanismo di difesa comprensibilissimo, che si fonda sull'assunto (sbagliato) che il bisogno di formazione nasca da un deficit personale, come se lo studio o l'allenamento fossero essenzialmente il rimedio per qualcosa che non va. A ciò si aggiunge che formazione per un adulto significa anche proposta di cambiamenti e dunque minaccia ad abitudini e pigrizie consolidate. Insomma dentro ciascuno di noi c'è un diavoletto pronto a sabotare le opportunità di perfezionamento lavorativo: «Non voglio che mi si dica che sto lavorando male e non voglio cambiare abitudini, anche se intuisco che le mie attuali non sono produttive. Tanto comunque alla fine i risultati li porto a casa».

Questo atteggiamento presuppone che il nostro successo lavorativo sia una scatola nera non analizzabile, sia un monolite non scomponibile in una molteplicità di componenti: siccome ho una pasticceria di successo da trent'anni nessun collega o consulente mi può insegnare il mestiere. Qualche consiglio, qualche spunto di riflessione lo accetto volentieri, ma non mi chiedete di “fare i compiti” perché io comunque resto un maestro, non posso essere un allievo.

Individuare i fattori di successo

Si tratta di un approccio molto diffuso che nasce dall'incapacità di distinguere i tanti possibili fattori di successo nel nostro lavoro. Perché ho una pasticceria di successo? Per la location? Per il livello di servizio? Per la qualità del prodotto? Per la gamma di prodotti? Per l'abilità amministrativa? Per quella gestionale? “Un po’ per tutto” è la risposta che sento più frequentemente. Risposta molto superficiale (e pericolosa) ma anche comprensibile perché quasi mai abbiamo gli elementi che ci consentano di capire qual è il fattore specifico che ci conduce al successo. Non riuscendo a identificarlo istintivamente pensiamo: “un po’ per tutto”.

Perché Maradona è stato Maradona? Perché aveva sviluppato all'ennesima potenza tutte le componenti del buon calciatore o magari perché aveva un singolo dono specifico sovrabbondante (la forza esplosiva nelle gambe per esempio) che gli consentiva di eccellere nonostante altre sue abilità fossero del tutto ordinarie e quindi migliorabili? Difficile trovare una risposta. Eppure quella risposta da qualche parte esiste. La verità è che il successo è sempre la risultante di un mix articolato di caratteristiche e componenti. Quasi sempre alcune di queste caratteristiche/componenti vincenti sono così importanti da riuscire a compensare e quindi a nascondere altre caratteristiche/componenti ordinarie o addirittura deficitarie. Se sono diventato l'amministratore delegato di una grande azienda non necessariamente sono un manager perfetto. Potrei semplicemente essere un manager con una capacità mnemonica impareggiabile e una resistenza fisica sbalorditiva ma con enormi carenze nelle capacità organizzative per esempio. Purtroppo il fatto che io abbia una memoria e un'energia fuori dal comune potrebbe non lasciar emergere le mie debolezze e quindi impedirmi di dedicarmi alla formazione e al perfezionamento.

Come migliorarci

Distinguere i fattori che ci portano al successo, studiarli separatamente, elaborarli, metterli alla prova significa creare le condizioni per definire un piano di miglioramento. Se non diventiamo raffinati nell'analisi finiamo nel sopravvalutarci quando tutto è andato bene e nel sottovalutarci quando tutto è andato male.

Esistono due atteggiamenti fondamentali per esaminare correttamente il nostro successo o insuccesso.

1) Accogliamo con curiosità e coraggio i feedback che ci arrivano dall'esterno, per quanto possano sembrarci apparentemente incomprensibili o inaccettabili. Io personalmente ho giocato per molti anni a calcio convinto di essere molto abile con il piede destro, il mio piede “forte”. Un giorno un allenatore guardandomi calciare mi ha detto: “Quando calci con il destro non sei in equilibrio. Calci meglio con il sinistro. Allenati a calciare con il destro”.

2) Non diamo nulla per scontato. Aver gestito trattative per trent'anni non significa che siamo bravi a farlo. Può darsi che abbiamo replicato per tanti anni schemi di negoziazione sbagliati ma che abbiamo ottenuto comunque brillanti risultati sulla base di una preparazione tecnica fuori dal comune che controbilanciava i nostri difetti nella negoziazione. Mettiamo costantemente in discussione il fattore esperienza. L'esperienza può mascherare e nascondere difetti strutturali. Aver gestito per tanti anni team numerosi non significa necessariamente essere bravi a farlo. Il “mestiere” ci aiuta a compensare le nostre debolezze tecniche ma non le annulla, anzi qualche volta le rinforza. Il manager “campione” riesce a vedere le proprie debolezze anche quando vince e sarebbe tentato di dire: “Ho vinto perché fondamentalmente faccio tutto bene, non c'è niente da aggiustare”.

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