sbagliando si impara

Quando obiettivi ed MBO abbattono la performance

È stato dimostrato sperimentalmente che incentivi elevati possono avere effetti perversi sulle performance e deteriorarle anziché migliorarle

di Alessandro Cravera *

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4' di lettura

Per accrescere la motivazione e le performance dei manager, quasi tutte le imprese adottano oggi sofisticati sistemi di rewarding e di MBO. La logica sottostante è semplice: assegnando obiettivi specifici e misurabili e legando premi economici al raggiungimento di questi obiettivi, si ritiene che la performance cresca. Ma è davvero così?

La logica motivazionale legata al sistema dei premi rappresenta oggi il “mainstream” in azienda, tuttavia vi sono studi ed evidenze empiriche che sembrano andare in una direzione completamente opposta a quella dominante. Alla base di questa nuova visione delle dinamiche motivazionali vi è la distinzione tra la motivazione cosiddetta “autonoma”, o intrinseca, e la motivazione “controllata” , o estrinseca. Si ha motivazione autonoma quando una persona sente una pulsione interiore nel fare una certa attività o nel perseguire un determinato obiettivo. La motivazione controllata si manifesta invece quando una persona si sente spinta a raggiungere certi traguardi per ottenere un premio o evitare una punizione.

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Le aziende tendono a privilegiare lo sviluppo di motivazione controllata perché ritengono che la motivazione autonoma sia generalmente associabile solo agli hobby e alle attività che procurano un piacere personale nel realizzarle. Sulla base di questo assunto risulta però difficile spiegare il fenomeno “open source”: migliaia di persone che collaborano per costruire qualcosa in assenza di una qualsiasi forma di retribuzione monetaria. Inoltre, alcuni studi sulla motivazione tendono a confutare questa tesi.

Il primo pioneristico studio è stato sviluppato da Harry Harlow nel 1949. In un discusso esperimento con le scimmie, Harlow mise dei rompicapo nelle gabbie dei primati e osservò le loro reazioni. In assenza di stimoli esterni, lo psicologo vide che le scimmie giocavano con i rompicapo con attenzione, trasporto e determinazione. Successivamente Harlow provò a ricompensare con uva passa le scimmie che risolvevano il rompicapo e sorprendentemente osservò un maggior numero di errori nella soluzione e una minore attitudine al problem solving.

L’esperimento di Harlow è stato pressoché dimenticato fino agli anni '70 quando Edward Deci, docente di psicologia all’Università di Rochester, ha voluto riprodurlo con gli studenti universitari, giungendo alla stessa conclusione: le ricompense monetarie diminuiscono la motivazione intrinseca a svolgere un’attività di soluzione di puzzle. Gli studi di Deci sono stati recentemente confermati grazie ad una ricerca condotta da Dan Ariely, Uri Gneezy, George Lowenstein e Nina Mazaar (Large Stakes and Big Mistakes).

Ariely e colleghi hanno dimostrato sperimentalmente che incentivi elevati possono avere effetti perversi sulle performance e deteriorarle anziché migliorarle. I ricercatori in un villaggio indiano offrivano ricompense in denaro ai partecipanti al test perché risolvessero dei problemi che richiedevano competenze, concentrazione e creatività, con una paga direttamente legata ai risultati. I partecipanti al test sono stati suddivisi, a loro insaputa, in 3 gruppi. Per alcuni il premio era stato fissato a 2400 rupie, una paga molto alta corrispondente a sei mesi di stipendio medio. Gli altri due gruppi avevano un premio molto più basso, rispettivamente di 24 e di 240 rupie.

I risultati del test ci dicono che i soggetti che avevano la possibilità di intascare 2400 rupie hanno ottenuto una performance significativamente peggiore degli altri due gruppi. Solo il 20% di loro è riuscito ad ottenere il punteggio massimo, mentre nei gruppi con un premio inferiore lo hanno raggiunto oltre il 35% dei partecipanti.

I ricercatori hanno quindi esteso l’esperimento ad un gruppo di studenti universitari. Questa volta il compito era doppio. Una prima parte del test consisteva nella risoluzione di problemi matematici, un’altra nella semplice digitazione dei tasti “n” e “y” sulla tastiera il maggior numero di volte in 4 minuti. Un gruppo poteva ottenere al massimo 30 dollari e l'altro 300 dollari. I risultati sono stati del tutto analoghi a quelli ottenuti in India. Nei test matematici, il 60% dei partecipanti al gruppo ricompensato con 30 dollari ha dato risultati eccellenti, mentre nel gruppo con il premio da 300 dollari solo il 40% ha raggiunto l’eccellenza.

Risultati opposti si sono evidenziati nei test di digitazione: nel gruppo con incentivazione da 300 dollari la quota dei top performer raddoppiava dal 40 all’80%. Questo test prova che nei lavori “euristici”, in cui occorre concentrazione e creatività, gli incentivi possono distrarre e penalizzare la performance finale. Al contrario, nei lavori definiti “algoritmici”, quindi più ripetitivi, in cui conta la crescita delle produttività personale, premi crescenti possono avere impatti positivi sulla motivazione e le performance dei lavoratori.

Ciò accade perché nei lavori euristici una forte pressione su un obiettivo può generare quella che gli psicologi definiscono «fissità cognitiva», ovvero la tendenza a concentrarsi eccessivamente sulle vie dirette, lineari, connesse al raggiungimento del risultato, limitando il campo di esplorazione verso alternative, magari meno immediate, ma più efficaci.

La pressione sul risultato tende inoltre a rendere le persone cieche nei confronti dei cambiamenti di contesto non direttamente correlati al risultato da raggiungere. Tale cecità può precludere l’individuazione di soluzioni efficaci e, soprattutto, può portare le persone ad essere totalmente sorprese dall’evolversi della situazione e del contesto entro il quale devono operare.

Le nuove teorie motivazionali sembrano quindi smontare le fondamenta di molte prassi abituali nelle aziende. In primis, quella che prevede di elargire premi variabili crescenti in proporzione al ruolo aziendale e alla difficoltà dell'obiettivo da raggiungere. Oggi noi sappiamo che questo potrebbe ostacolare, anziché favorire, il raggiungimento di questi obiettivi. Al contrario, per lavori più routinari, spesso la parte variabile della retribuzione pesa pochissimo e viene elargita in forme fortemente egualitarie. In questo genere di attività, i recenti studi su performance e motivazione ci dicono che una crescita del peso dell’incentivo economico potrebbe portare a un aumento di produttività personale.

* Senior Partner Newton Spa

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