alain mabanckou

Quando la realtà è insopportabile non resta che riderci sopra

«Le cicogne sono immortali», il nuovo romanzo del pluripremiato scrittore congolese Alain Mabanckou, è un’opera che non smette di far ridere e pensare, forse la sua più compiuta

di Lara Ricci

Lo scrittore congolese Alain Mabanckou

4' di lettura

Quando la realtà è insopportabile, non resta che riderci sopra. Prenderla così sul serio da mandarla a gambe all’aria. Guardandola ad esempio attraverso il cristallino di un ragazzino pensoso e trasognato che a tutto cerca di dare un’arguta spiegazione utilizzando il poco che sa: Michel, 11 anni, tra i dieci alunni più bravi della regione di Pointe-Noire, ma che perde sempre i soldi del resto della spesa perché ha le tasche bucate dal fil di ferro che si porta dietro per ripararsi le ciabatte.

È lui il protagonista di Le cicogne sono immortali, da poco in libreria con l’efficace traduzione di Marco Lapenna (bella anche la copertina). Romanzo in cui lo scrittore pontenegrino Alain Mabanckou, maestro d’ironia sorniona, racconta i tre giorni del marzo 1977 che hanno segnato il passaggio del Congo-Brazzaville da un dittatore... a un altro!

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Il passaggio dal «compagno presidente Marien Ngouabi che - racconta Michel - contava su di noi per aiutarlo a sviluppare il nostro Paese, il continente e anche gli altri continenti, compresi quei Paesi europei che si credono già sviluppati e invece non fanno altro che cambiare un presidente dopo l’altro, poverini», al breve intermezzo del commilitone Joachim Yhombi-Opango (seguito dall’ancora-presidente Denis Sassou-Nguesso).

Sabato 19 marzo 1977 Michel è come sempre impegnato a costruirsi una visione coerente ma completamente strampalata del mondo a partire dai bizzarri assiomi raccolti qua e là o che ha lui stesso postulato, quando il canale radio «Voix de la Révolution Congolaise» di colpo interrompe la musica sovietica con cui è solito deliziare i concittadini. Una voce marziale annuncia al popolo che «l’imperialismo ormai alle strette, in un ultimo vigliacco sussulto, ha attentato per mezzo di un commando suicida alla vita del dinamico capo della Rivoluzione congolese, il compagno Marien Ngouabi, che ha trovato la morte in combattimento, armi in pugno».

Gli eventi precipitano nella vita del povero Michel. Il suo cane, udito l’annuncio, se la svigna. E proprio mentre il ragazzino si prepara a sgattaiolare via per cercare il quadrupede, violando il coprifuoco delle autorità e di mamma Pauline (lo stesso nome della madre dell’autore), tre zii, due di cui non si ricordava l’esistenza, piombano nella loro baracca. Sono venuti ad annunciare che un altro fratello di mamma Pauline, un generale, è stato ucciso dal Comitato militare del partito che ha preso il comando del Paese dopo la morte del compagno-presidente. L’hanno eliminato come «elimineranno sistematicamente tutti quelli che potrebbero parlare, chiunque ne sappia qualcosa sui responsabili dell’omicidio. A quanto si dice non c’è bisogno di andare a cercare troppo lontano, pare che il complotto sia nato tra i membri dello stesso Comitato».

Gli zii, divenuti ricchi e potenti dopo essersi affiliati al regime («per durare ci vuole una strategia. La mia è quella della lumaca: in apparenza mi rigiro nella mia bava, ma in realtà sto andando avanti...»), sbafatasi la cena strafogandosi «come animali senza evoluzione», se ne vanno. Ma solo dopo aver raccomandato massima discrezione: non si deve sapere in giro che il morto, che portava un altro cognome, era loro fratello. Lasciano così Michel all’angosciata ricerca del suo cane e la fiera e focosa mamma Pauline nella disperazione di doversi fare una ragione della morte del fratello e dell’impossibilità anche solo di tenere il lutto, per non dare nell’occhio.

Poveri illusi coloro che credono che la verità si possa dire, o che addirittura sperano che questa paghi! Doppiamente illusi se vivono in un Paese con la storia (e l’attualità) del Congo-Brazzaville! Per salvare la madre, incapace di sopportare l’ultima violenza, quella del silenzio, il piccolo Michel che non sa tenere la bocca chiusa si troverà addirittura a dover mentire. Riuscirà però a farlo senza tradire la verità: trasfigurandola. Come fa del resto l’autore, Mabanckou, nei suoi racconti.

Le cicogne sono immortali si rivela allora nel suo epilogo un romanzo di formazione in cui i tre giorni che traghettano il Congo da un dittatore a un altro segnano l’approdo del piccolo Michel a una consapevolezza adulta. Un epilogo che è anche una dichiarazione di poetica, particolarmente toccante e significativa da parte di uno scrittore costretto all’esilio, che ancora dedica tutti i suoi libri a mamma Pauline, morta senza di lui.

Scanzonato come sempre, e pervaso da un’ironia che a volte ricorda quella tenera e nostalgica di Domani avrò vent’anni (romanzo del 2010 con gli stessi personaggi biografici di quest’ultimo) e quella amara e tagliente di Pezzi di vetro (2005); un’ironia ancora più sottile e giocosa di quella di Memorie di un porcospino (del 2006, che gli è valso il Renaudot e la finale al Man Booker Prize e allo Strega europeo) Mabanckou firma un amaro racconto che non smette di far ridere e pensare, forse il suo più compiuto.

Come anche in Peperoncino e Le luci di Pointe Noire (tutti i romanzi sono editi da 66thand2nd) sullo sfondo di Le cicogne sono immortali c’è l’infanzia rattoppata e inventiva nel Congo degli anni 70-80. Paese che Mabanckou ha lasciato nel 1989 per studiare in Francia e trasferirsi poi in California, dove insegna alla Ucla. Paese dove non torna più, perché malvisto dall’eterno regime. Un luogo che tuttavia continua a raggiungere con l’immaginazione. Un’immaginazione che non permette alla nostalgia di cancellare i torti e gli stenti subiti da un bambino cresciuto con niente, in balìa di quasi tutti, ma che il tempo e la saggezza frappostasi rendono nitida e pungente.

Le cicogne sono immortali

Alain Mabanckou

Traduzione di Marco Lapenna

66thand2nd, Roma, pagg. 206, € 16

Riproduzione riservata ©

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