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Quando Wollemborg sognava la banca mutualistica

«Ammesso tra i soci della cooperativa di credito, invece di vivere di elemosina, quel contadino vive ora del suo lavoro con l’aiuto del piccolo capitale che la Cassa rurale gli affida.

di Sergio Gatti

3' di lettura

«Ammesso tra i soci della cooperativa di credito, invece di vivere di elemosina, quel contadino vive ora del suo lavoro con l’aiuto del piccolo capitale che la Cassa rurale gli affida. Se prima non riusciva nemmeno a provvedere al proprio sostentamento, oggi ha acquistato una mucca e con il guadagno del latte e del formaggio ha potuto pagare i debiti alla Cassa e conservare la carne della bestia, risultato che non avrebbe mai potuto ottenere senza quel supporto. Tavole, un tempo vuote, oggi sono piene». È la lettera che l’arciprete di Loreggia (Padova) scrisse al fondatore della prima Cassa rurale italiana, Leone Wollemborg. Ma chi era Wollemborg? Di origine tedesca ed ebraica, poco più che ventenne coinvolse nella costituzione della Cassa cooperativa di prestiti sacerdoti cattolici, sindaci socialisti, contadini e operai credenti e non. Serviva coalizzarsi per fronteggiare la miseria, l’usura, la pellagra, la spinta a diventare migranti. Pragmatica lungimiranza.

Oggi lo definiremmo uno “start-upper” mutualistico. Insieme a 31 soci, quasi tutti analfabeti, costituì nel 1883 appunto a Loreggia la prima cooperativa di credito. Si ispirava alla Cassa rurale costituita nella parte occidentale della Germania, a Heddesdorf nel 1864 da Federico G. Raiffeisen. Wollemborg scrisse uno statuto basato su princìpi che ancora oggi costituiscono l’ossatura della normativa che disciplina le banche mutualistiche italiane: il credito a medio-lungo termine per ovviare ai cicli avversi del lavoro nei campi; la dimensione locale per favorire la conoscenza, il controllo e la solidarietà tra i soci; l’assenza di dividendi e la destinazione degli utili a riserva; l’indivisibilità del capitale sociale in una logica intergenerazionale.

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A trent’anni dal Testo unico bancario (settembre 1993) che segnò la fine della “filosofia bancaria” del 1936, quello della banca mutualistica appare un modello giuridico e operativo performante. Nel 1993, il nuovo paradigma di riferimento dedicava uno spazio peculiare alle casse rurali e artigiane (cambiando loro anche la denominazione in banche di credito cooperativo). Ciò, sia per coerenza con l’articolo 45 della Costituzione (che riconosce la funzione anche sociale delle cooperative mutualistiche) sia per potenziare la capacità delle BCC di promuovere lo sviluppo delle comunità e la valorizzazione dello scambio mutualistico.

Il succo delle regole del Tub per le BCC è anche racchiudibile in tre numeri: obbligo di prestare denaro almeno per il 50,1% ai soci; di erogare credito almeno per il 95% a chi vive e lavora nel territorio dove è stato raccolto il risparmio; di destinare almeno il 70% degli utili a riserva indivisibile (in realtà la media è del 90%).

Al quadro di regole dedicate si aggiungono due elementi distintivi: a) l’obiettivo del benessere integrale (non solo economico) dei soci e della comunità locale. In una prospettiva ante litteram di sostenibilità ambientale e sociale; b) una governance democratica nella quale ciascun socio pesa in termini decisionali come tutti gli altri, indipendentemente dalle quote azionarie detenute. Gli amministratori sono eletti tra i soci, protagonisti della vita (non solo economica) dei territori. Le strategie della banca sono decise dalle persone, non dalla quantità di azioni e di capitale che posseggono.

Oggi i soci cooperatori delle 223 BCC, Casse Rurali e Casse Raiffeisen Italiane sono 1 milione e 407 mila. Il risparmio raccolto supera i 188 miliardi di euro. Una filiale bancaria su cinque è di una BCC. Il patrimonio complessivo supera i 21 miliardi di euro (CET 1 medio 22,4%). Con una struttura organizzativa che rappresenta un unicum a livello europeo: banche autonome aderenti a Gruppi bancari cooperativi di cui detengono la proprietà (o ad uno schema di tutela istituzionale-IPS, come in Alto Adige) e che si garantiscono a vicenda.

Di recente, a Roma sono state ricordate le tappe e il senso di 140 anni di cammino imprenditoriale in occasione della Assemblea annuale di Federcasse, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non per nostalgia, ma per ribadire il senso profondo e l’attualità di una intuizione semplice – quella del giovane Wollemborg, poi attuata in tutta Italia anche da sacerdoti come Luigi Sturzo e Lorenzo Guetti insieme a tantissimi uomini e donne di buona e volontà – semplice, ma allo stesso tempo difficile da realizzare. Quel fondatore di piccole banche “dal basso”, nel 1901, a 42 anni divenne ministro delle Finanze del governo Zanardelli.

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