Quarant’anni fa la scomparsa della Callas, mito senza tempo
di Armando Torno
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Parigi, 36 Avenue Georges-Mandel. È il 16 settembre 1977. Al terzo piano del palazzo signorile abita Maria Callas. Intorno alle 13,30 la cantante muore. Il referto medico riporta “arresto cardiaco”. In molti si chiedono se non sia stato un suicidio. Forse la signora soffriva di dermatomiosite; di certo era tormentata dall'insonnia e assumeva dosi sempre più forti di un sonnifero, il Mandrax, dagli effetti sedativo-ipnotici. È codesta probabilmente la “droga” che si legge nelle estreme pagine del diario.
Questa donna, ormai un mito, era terribilmente sola, anche se la pianista greca Vasso Devetzi si trasformava sovente in dama di compagnia. Ma il suo mondo se n'era andato, anzi dissolto. I trionfi giovanili all'Arena, i successi alla Scala degli anni Cinquanta, gli applausi di Chicago, l'eurovisione del dicembre 1958 trasmessa da Parigi e le ovazioni consumate in infiniti altri luoghi abitavano soltanto nei ricordi.
Onassis, che mai smise di chiamarla e di promettere il divorzio da Jacqueline Kennedy, era morto nel marzo del '75 a Neuilly-sur-Seine, alle porte di Parigi. L'aveva conosciuto nel settembre del 1957 a una serata al Danieli, a Venezia; era magata dai ricevimenti che le organizzava, come quello al Dorchester Hotel di Londra, dopo la “Medea” al Covent Garden del giugno 1959. Il loro fu un amore tumultuoso, che mai si interruppe veramente, tanto che pochi giorni prima della morte del ricchissimo armatore Maria gli fece visita.
Anche Pier Paolo Pasolini, per il quale dovette provare più di una simpatia, era morto, ucciso nel novembre di quel 1975. Lui, il regista e intellettuale italiano, l'aveva fatta rivivere con il film “Medea” (correva il 1969); o meglio, era riuscito a interrompere la sua solitudine sentimentale.
Nel marzo del '76 se ne andava anche Luchino Visconti, l'altro regista della sua vita. Le aveva cucito addosso le parti della “Sonnambula” o della “Traviata” come un abito di alta moda. Già, Visconti. Dava appuntamento ai suoi aiutanti al “Cenacolo” di Leonardo, “per esercitare gli occhi” prima di movimentare le scene alla Scala. Maria dialoga non poco con lui; Visconti confessa in un'intervista di quegli anni che prese la decisione di impegnarsi in regie d'opera soltanto dopo aver visto e ascoltato la Callas.
E il caro Di Stefano, con il quale aveva intrapreso l'ultima tournée (chiusa nell'autunno 1974), vivendo un'estrema vicenda d'amore, era distrutto, assente, perduto per la morte della figlia ventenne. I trionfi e le complicità che condivisero da Città del Messico in poi, dall'inizio degli anni Cinquanta, erano diventati anch'essi soltanto ombre di un rutilante passato.
La Callas moriva lontano dal vecchio marito, Giovanni Battista Meneghini, che in quei giorni era bloccato a Milano con un malessere, dal quale mai aveva divorziato. Il consorte correrà subito a Parigi al diffondersi della luttuosa notizia, giacché il testamento tra i due coniugi aveva ancora valore reciproco, e la famiglia di Maria, soprattutto la sorella, non era certo disposta a rinunciare ad eventuali beni.
Maria moriva quel 16 settembre in questa solitudine, come si addice a quei personaggi traditi dalla sorte. La sua voce versatile aveva incantato il mondo passando da Norma a Isotta, da Turandot a Elvira, da Aida a Leonora. Violò come pochi altri le norme delle categorie vocali, così come talune cose sanno rompere con innocenza la barriera del suono. Affascinava e seduceva senza disporre di quella bellezza necessaria alle dive di Hollywood; i difetti della sua voce si trasformarono in magnifici pregi; le cure dimagranti non la piegarono, anzi.
Ebbe tutto, dai miliardari curvati alla gloria, ma il 16 settembre 1977 non riusciva a stringere nulla.
La leggenda si impadronì subito di lei. Nacquero libri, film, si inventarono storie e sceneggiati, qualcuno parlò di un bambino che sarebbe nato da un rapporto con Onassis (doveva chiamarsi Omero, morto ancora infante); si discettò sul suicidio, si cercarono i gioielli, taluni giurano di aver visto portar fuori dalla casa di Avenue Mandel, grazie allo sforzo di quattro facchini, un immenso tappeto prezioso. Ormai tutto era inutile. Maria, o meglio per l'anagrafe e taluni documenti Sophie Cecelia Anna Maria Kalogeropoulos, era ora sfuggita alle cose per continuare a vivere in quella dimensione che dà forma al passato utilizzando l'eco di quanto è avvenuto.
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