Inquinamento da farmaci

Quel che i fiumi dicono di noi

Uno studio internazionale ha scandagliato le acque fluviali riscontrando la presenza di principi attivi che producono conseguenze deleterie per l’ambiente acquatico

di Flavia Foradini

(mauritius images / AGF)

2' di lettura

Se le acque reflue possono dar conto fra l’altro di vizi e virtù delle popolazioni urbane, lo studio di quelle dei fiumi può creare un quadro globale sulle abitudini e le predilezioni che riguardano fra l’altro l’uso dei medicinali da banco, nonché di caffeina e nicotina.
E’ ciò che ha prodotto uno studio condotto da un consorzio di 127 autori di 86 istituzioni, capeggiati da John L. Wilkinson, del dipartimento di Ambiente e Geografia dell’Università britannica di York. L’analisi ha riguardato 104 Paesi e ha valutato la concentrazione di 61 molecole nelle acque di 258 fiumi, monitorate con 1052 campioni.

Pubblicato sulla rivista scientifica statunitense PNAS

Pubblicato sulla rivista scientifica statunitense PNAS, lo studio mette in luce come carbamazepina (per trattamento di epilessia e nevralgie), metformina (usata per trattare il diabete mellito di tipo 2) e caffeina siano state rilevate in oltre la metà dei siti studiati. La carbamazepina detiene tuttavia il primato mondiale, essendo riscontrabile in oltre il 62% delle località prese in considerazione, cioè 652.14 sostanze sono state riscontrate in tutti i continenti, ad eccezione dell’Antartide: antistaminici, antidepressivi, anestetici, antiinfiammatori, molecole contro l’insonnia, antimicrobici.La maggiore concentrazione di paracetamolo (227 µg/L) è stata constatata nel Rio Seke, a La Paz, in Bolivia e a livello mondiale solo l’Islanda è stata assolta dal monitoraggio condotto su 17 siti nel suo territorio: nessuna delle 61 molecole testate è stata individuata.

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«Con questa accuratezza e comparabilità è la prima volta che si effettua uno studio di così vasta scala», dicono gli autori, che riaffermano, se ce ne fosse bisogno, come la concentrazione di principi attivi nei fiumi sia causa allo stesso tempo di danni ambientali e di aumentati rischi per la salute «in almeno un quarto dei siti testati».«I prodotti farmaceutici sono un fattore essenziale per la salute delle comunità e il loro uso è ubiquo. Tuttavia i principi attivi che contengono possono produrre conseguenze deleterie per l’ambiente acquatico».

Lo studio, auspicano gli autori, potrà fornire dati utili all’Onu e in particolare al monitoraggio del Traguardo 6.3 dell’Agenda 2030, che riguarda fra l’altro la qualità dell’acqua, la riduzione dell’inquinamento e l’eliminazione di scarichi incontrollati e non trattati.Proprio in vista della scadenza del 2030, proseguono gli analisti, «il nuovo paradigma di monitoriaggio ambientale deve includere uno sforzo globale, inclusivo, interconnesso, perché solo con la collaborazione a livello planetario potremo giungere a decisioni informate, volte alla riduzione dell’impatto di sostanze chimiche sull’ambiente».


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